venerdì 27 febbraio 2009

L'Okra o Gombo

(Hibiscus esculentus)

di Paolo Basso
L'okra è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Malvacee. E' una verdura dei paesi caldi che inizia ad essere conosciuta anche qui da noi, per ora nei negozi etnici o presso le ditte che approvigionano le navi, in scatola o sugelata. Originaria dell'Africa, era già coltivata dagli Egizi e con la tratta degli schiavi si è diffusa anche nelle Americhe, dove attualmente è ben conosciuta.
Data la grande diffusione l'Okra è conosciuta con molti nomi, tra cui Gombo, Bamia, Quingombo.
Attualmente in Italia vi sono coltivazioni a carattere commerciale solo in Sicilia, comunque è coltivabile in tutta Italia, limitatamente ai mesi estivi.

Okra  (varietà albanese)

Infatti ha bisogno di caldo, si può precoltivare in vasetti in serra ma finchè non è in piena terra e con temperature superiori ai 20° cresce stentata. Poi però cresce a vista d'occhio, con fusto simile ai girasoli. Le piante possono superare i due metri, ma non necessitano di tutore essendo molto robuste. Le foglie sono ampie, più o meno palmate secondo la varietà, con dei peli urticanti come le zucche.
Io ho coltivato quattro varietà, la varietà Clemson è poco spinosa, con foglie molto palmate sin dalla base e molto produttiva; le varietà greca e albanese sono simili, a crescita molto vigorosa e con foglie dapprima quasi tonde, poi più palmate nella crescita, però iniziano a produrre quando sono già oltre il metro. La quarta varietà, della Sierra Leone è simile a queste ultime due, ma con gambo e steli delle foglie marrone. Anche la produttività è simile a quelle greca e albanese.



In tutte le varietà il fiore è simile, bianco crema con centro viola scuro e pistillo sporgente, si apre al mattino ma già al pomeriggio appassisce e cade, scoprendo il frutticino che in pochi giorni è da raccogliere. I frutti vanno raccolti quando sono lunghi pochi cm., altrimenti diventano subito legnosi.


Frutto il giorno seguente alla caduta del fiore (varietà greca)

Frutti  lasciati per semenza (varietà Clemson)
Si cucina mista ad altre verdure con riso e pollo, fritta o col cous cous, io per ora ho provato a metterla sott'aceto come i cetriolini.
Il gusto è particolare, non facilmente definibile, ricorda un po' l'asparago e il carciofo.
Quest'anno coltiverò solo la varietà Clemson, la più produttiva nel mio clima.

mercoledì 18 febbraio 2009

Il Buon Enrico

(Chenopodium bonus-henricus)
di Claudia M.

Nome comune: Parüch, Buon Enrico, Farinelli, Orapi o Spinaci di monte.

Nome scient.: Chenopodium bonus-henricus L. 
Famiglia: Chenopodiaceae
                  
Le Chenopodiaceae sono piante originarie dei deserti salati dell'Asia centrale; Già conosciute nell'antica Grecia, si sono largamente diffuse, adattandosi particolarmente ad ambienti con elevate concentrazioni saline, quali le coste marine, le paludi salmastre ed in seguito gli insediamenti umani, dove hanno gradito l'elevata concentrazione di sostanze azotate presenti nel terreno.

Chenopodium bonus-henricus L. (da www.naturamediterraneo.com)

Tra le chenopodiaceae troviamo molte piante comunemente coltivate, come la bietola, (beta vulgaris), la barbabietola da zucchero, la rapa rossa, lo spinacio (spinacea oleracea), e l'atreplice.

Il Buon Enrico è una pianta erbacea perenne eretta, alta 30-75 cm, dotata di uno spesso rizoma ed un fusto biondo. I numerosi peli vescicolosi presenti su tutta la pianta le conferiscono un aspetto farinoso.

Le foglie basali, cuneiformi e dotate di un lungo picciolo, sono di colore verde scuro nella pagina superiore, chiare e farinose in quella inferiore.
L’infiorescenza a spiga è posta all’apice del fusto ed è formata da piccoli fiori bruno-verdastri a 5 sepali.

I semi sono neri e lucenti.

Questa erbacea è comparsa già nel Neolitico e si è diffusa rapidamente nelle zone collinari e montane d'Europa, America del Nord e Siberia. E' resistente alle intemperie, ma necessita di pieno sole. Fiorisce da Maggio ad Agosto lungo i recinti, nei pressi di abitazioni e malghe. Si puo' moltiplicare per seme, e gradisce una buona concimazione con letame maturo. Raramente si trova nelle zone pianeggianti; in Italia cresce spontaneamente ad altitudini superiori ai 250 metri, soprattutto nelle zone alpine e in numerosi tratti dell'appennino.

Il nome "Chenopodium" deriva dal greco chen=oca e podion=piede: "piede d'oca", con allusione alla forma delle foglie;

"Buon Enrico" si presta a numerosissime interpretazioni, alcune poetiche, altre curiose. Questo dimostra la grande attenzione riservata nel tempo a questa pianticella, che ora noi non vediamo nemmeno, confusa tra le altre che popolano i prati di montagna.

Ecco alcune delle attribuzioni che ho trovato:
  • Ricevette il suo nome da Linneo in onore di Enrico IV re di Navarra, protettore dei botanici. 
  • La pianta è dedicata al "Povero Enrico" che, affetto da lebbra, sarebbe guarito grazie a questa pianta. 
  • Durante il regno di Enrico (il solito Enrico il grande di Navarra e Francia) era un cibo riservato ai nobili, e veniva coltivato nei possedimenti in montagna del suddetto Re. Egli fu così nobile da consentirne l'uso anche ai poveracci, salvandoli così dal morire di fame.
  • Semplicemente, re Enrico (sì, sempre lui...) aveva un gran parco dove crescevano erbe spontanee. Consentì al popolo di cib harsi di tali erbe (non fu gran sacrificio, lui mai si sarebbe sognato di assaggiarle) ed in cambio ricevette eterna gratitudine. 
  • Enrico è il dio della casa, la pianta cresce infatti nei pressi delle abitazioni.
  • Tutte le erbe che crescono vicino alle case si chiamano Enrico… Mah! Questa poi…
Le versioni sono infinite! Che ognuno scelga la preferita, e chi conoscesse quella vera, è invitato a farmela sapere.

Le foglie, crude o cotte, sono nutrienti e ricche di ferro, vitamine e minerali. Per queste sue qualità le foglie possono essere utili in caso di anemia, ed è efficace come emolliente o lassativo. Come gli spinaci, contiene molto acido ossalico. Se ne sconsiglia l'uso a chi soffre di artrite, di reumatismi, di gotta o nei casi di insufficienza renale.

Possono essere consumate crude in insalata o cucinate come le verdure cui siamo più abituati: come condimento per pasta o riso, all'interno dell'impasto per fare la pasta verde, come ripieno per i ravioli, per farne minestre; prima lessate e poi fatte in insalata o passate in padella come contorno. Il gusto è deciso ed amarognolo.

Per uso esterno si applicano le foglie fresche come cataplasma sugli ascessi per accelerarne la maturazione.

Al fine di mantenere intatte le sue numerose proprietà è preferibile utilizzarla appena raccolta.

Per ulteriori foto del Buon Enrico:

mercoledì 4 febbraio 2009

Patate in autunno - inverno

di Paolo Basso

Da parecchi anni coltivo le patate nel periodo autunnale, per avere patate novelle per Natale. A volte si trattava di patate rimaste nella terra dal raccolto estivo e che germogliavano con le pioggie di fine estate, a volte facevo qualche solco con patate che stavano germogliando nelle cassette, ma mai con una coltivazione specifica.
Quest'anno (il 2008 era l'anno internazionale della patata) ho deciso di piantarne parecchi solchi dove avevo appena tolto le piante di pomodoro e dove quindi avevo già concimato a suo tempo con “concime caprette”.
La semina è stata a fine settembre, quando erano cadute le prime piogge dopo quasi tre mesi di siccità. Inizialmente ho dovuto annaffiare lo stesso per tutto ottobre, pioveva pochissimo e io dovevo far vegetare le piante e recuperare il tempo perduto per la siccità. Per fortuna a novembre di pioggia ne è venuta molta, anche troppa visto che ovviamente c'era poco sole.
Poi nonostante la tramontana fredda e i soli 3° di fine novembre, a dicembre avevo delle belle piante che non accennavano a ingiallire.


Ovviamente per Natale non ho raccolto come previsto, poi altra tramontana fredda e minima di soli 2° e verso la metà di gennaio ho raccolto i primi due solchi visto che le piante stavano diventando gialle e coricate dal vento.
Il raccolto completo l'ho fatto a fine gennaio, la maggior parte dei tuberi è sopra i 100 gr, qualcuna anche di 250 gr. come varietà è l'olandese Desirée, come semenza ho usato le patate medio-piccole del mio raccolto estivo, tenute all'aperto per germogliare.


Ora oltre al raccolto per la cucina (questo della foto), ho una cassetta di patate medio-piccole per la prossima semina e che terrò all'aperto, mentre quelle da consumo vanno in cantina.
Oggi, 4 febbraio, ho seminato 4 solchi con le ultime patate del raccolto estivo, ormai grinzose e piene di germogli... vediamo cosa ne esce.

Aggiornamento del 8 aprile
Le patate che ho seminato il 4 febbraio le ho messe in solchi ben fondi, appena coperte di terra ma poiché i germogli già lunghi uscivano dal terreno, ho riempito i solchi con erba secca. Quando le piante hanno iniziato ad uscire le ho ben rincalzate con la terra del solco e questo è il risultato dopo due mesi, un febbraio abbastanza freddo ed un marzo alternante.


Ora sto raccogliendo le fave dalle piante che si vedono dietro e presto toglierò la prima fila per dar spazio alle patate.

Non credevo di avere un buon risultato visto che le patate seminate erano quasi secche, poi i primi giorni un tasso me le scavava di notte, probabilmente alla ricerca di lombrichi sotto lo strato di erba secca.

martedì 3 febbraio 2009

Rucola violacea

(Diplotaxis erucoides)
Fam. Brassicacee (Crucifere)

di Angelo Passalacqua




La rucola violacea è una delle migliaia di piante che non vengono più utilizzate come cibo, è solo una infestante da distruggere coi diserbanti, ad ogni costo. Eppure è molto buona come sapore, non così piccante come la "sorella" più conosciuta, l'onnipresente (forse troppo...) rucola o rughetta selvatica.



Cresce in orti, vigneti, incolti, senza problemi nè bisogno di aiuto da parte dell'uomo. La rinuncia da parte umana di migliaia di piante commestibili a favore di poche varietà selezionate potrebbe avere giustificazione per piante magari "solo" commestibili, il cui uso abbisognava di fame arretrata, tipo l'amaranto o il farinello, non dovrebbe estendersi a tutte le altre spontanee.
Comunque la cosa non mi trova d'accordo e vi consiglio, se avete la possibilità, di assaggiarle, di mangiarle. Se capitate in qualche paesino lucano o pugliese di origine greca o albanese, vedrete che pietanze vi preparano con amaranto, farinaccio o portulaca! Per non parlare del pane e dei biscotti fatti con la farina delle suddette...
"Diplotaxis","semi disposti in doppia fila", accomuna le tre rucole selvatiche, D. tenuifolia(con foglia molto incisa e con foglia ad olivo), D. muralis, D. erucoides mentre la rucola coltivata è Eruca sativa ( da "urere", bruciare e "sativa",coltivata). La rucola violacea ha fiori bianchi, più o meno sfumati di viola, è ricca di vitamina C e composti solforati.
In cucina viene apprezzata cruda, in insalata oppure cotta, lessata e condita col solito olio extravergine. Ma il più apprezzato vede l'uso dei racemi fiorali, prima della fioritura completa (come d'uso anche per cime di rapa o senape nera, ad esempio), a condimento di spaghetti od orecchiette.
Chi non abbia la fortuna di poter raccogliere in natura può facilmente seminare la rucola in Gennaio-Maggio ed Agosto-Ottobre, per avere praticamente piante disponibili tutto l'anno. La pianta ha ciclo annuale.
Nomi volgari della rucola violacea, maraiole, apudd, cime skasizze, cime de ciucce, cim-i-ciucc (cime dell'asino, le ultime due)

Alcune foto per un migliore riconoscimento:
http://www.funghiitaliani.it/index.php?showtopic=22978