martedì 26 febbraio 2008

Orti scolastici

Fare un orto con i bambini
(riprendono gli Orti Scolastici)

di Adriana Calderoni
Inizia la stagione degli orti, anche a scuola, finalmente!
In verità per me e per gli insegnanti sono un vero “tour de force” : che fatica! Immaginatevi 25 bambini correre e saltellare qua e la, all’aria aperta, su e giù per un campo zappato , con la terra umida che si incolla alle scarpe e tutti , dico tutti i bambini , che vogliono fare tutto. Subito .
Ai bambini piace molto realizzare l’orto, credo che li faccia sentire grandi e credo che scoprano in loro una sorta di potere magico.
Non sempre , ma spesso anche i bambini difficili riescono a combinare qualcosa di buono e si interessano.
Ecco come io cerco di aiutare loro e gli insegnanti:
Per prima cosa individuiamo il terreno . La soluzione migliore è che esso si trovi nel cortile della scuola, visibile a tutti e facilmente accessibile tutti i giorni.
Qualche volta, però, bisogna spostarsi di qualche centinaio di metri , ma meglio è raggiungere l’orto a piedi. E’ un controsenso secondo me dover utilizzare il pulmino, quindi solo se non se ne può fare a meno…
Il terreno quindi può appartenere alla scuola, ma anche al Comune o all’ASL, deve essere pulito ( a volte si trova della spazzatura in giro per le aiuole…) e avere un’ampiezza tale da consentire a tutti i bambini di “agire”.
Con gli insegnanti dividiamo sulla carta il terreno in parcelle, ad esempio di 4x4 m e ogni parcella sarà affidata a 4-5 bambini che ne diventeranno i custodi/responsabili/creatori /realizzatori.
Se lo spazio c’è e possiamo permetterci queste dimensioni è comprensibile chiedere un “aiutino”, cioè qualcuno che concima con letame, ara e fresa il nostro appezzamento. Almeno il primo anno e in tempo utile. Quindi concimare in autunno, arare prima dell’inverno e magari una fresata adesso a fine febbraio.
Per spazi più piccoli abbiamo vangato con i bambini. A volte abbiamo ottenuto la collaborazione di genitori sensibili e bidelli generosi. Non so se l’entusiasmo dei piccoli e i sorrisi grati delle maestre hanno ripagato le loro sgobbate contro la gramigna e il terreno duro come cemento….



La seconda fase è quella di andare in campo e con metro a nastro, paletti o canne suddividiamo gli orti. Questa operazione di geometria spicciola la svolgiamo insieme . Sono i primi incontri e le prime uscite, io ne approfitto per conoscere i bambini e do qualche regola di bon-ton:
-non è bene calpestare la terra dove coltiveremo
-non è bene tirarsi la terra o tirarla agli insegnanti
-non si stritolano lombrichi
-la zappa non è una spada con cui fare combattimenti
- l’acqua va gestita da pochi bambini responsabili (ma se fa molto caldo ci permettiamo qualche trasgressione come spruzzarci e bagnarci la testa, le braccia, la maglia ecc.)
La semina : qui in Piemonte iniziamo a fine febbraio con la semina dell’aglio , delle cipolle,con le fave, i ceci , i piselli nani o rampicanti.
Studiamo dove sistemare gli ortaggi e iniziamo a preparare i solchi. Io preferisco mostrare ai bambini i gesti le prime volte e poi lascio che facciano da soli, seguendo con attenzione le operazioni. Possiamo decidere di rispettare le lune (calante per i bulbi e le insalate, crescente per le piante che daranno frutti), ma questo non è sempre vero, soprattutto quando gli orari e i giorni sono rigidamente definiti e “incastrati” tra gli altri impegni scolastici.
Un piccolo consiglio di inizio stagione: la scelta degli ortaggi da coltivare segue un criterio che deve soddisfare alcune esigenze particolari. Infatti la fine dell’anno scolastico a giugno, la difficoltà di seguire gli orti nella stagione estiva e il desiderio dei bambini di raccogliere i frutti del loro lavoro ci portano a prediligere coltivazioni primaverili come quelli già nominati sopra successivamente le bietole, le lattughe e le patate primule.

venerdì 22 febbraio 2008

Pomodori gialli da inverno

di Paolo Basso


Non avevo mai coltivato pomodori del genere, quindi per me è stato un esperimento. Ne ho fatto una fila lungo una rete di recinzione, predisponendo delle canne da supporto come faccio sempre.

Inizialmente ho tolto i succhioni, che ho messo in acqua a radicare per una piantagione successiva, poi mentre ero via per due settimane di vacanza ne sono germogliati altri e al ritorno ho trovato un bosco.

Oltre ai rami legati alle canne c'erano fusti striscianti che salivano sulla rete o per terra. Ovviamente avevo lasciato ad un amico l'incarico di annaffiare anche per la siccità. La maturazione è molto lunga, io ho lasciato che maturassero sulla pianta e li ho poi raccolti al momento di levare le piante, a parte alcuni usati in cucina.

Ho anche piantato le talee radicate a metà giugno, sempre con canne di supporto e togliendo tutti i succhioni, ma la resa è stata inferiore e non è che sia aumentata la pezzatura dei frutti, cosa che mi ripromettevo coltivandoli così.



Anche raccolti a maturazione si sono conservati benissimo e ne ho ancora un po', praticamente sempre uguali a parte una piccola percentuale che ha internamente qualche seme annerito. Ma siamo a quasi 6 mesi dalla raccolta!





giovedì 14 febbraio 2008

Zucchino Trombetta di Albenga

di Paolo Basso


Posso sembrare di parte perchè la piana di Albenga è ad un passo da me, dal mio terreno si vede la foce del fiume Centa a 2 km in linea d'aria; però non sono il solo ad affermare che questo zucchino sia tra i migliori in assoluto.

Appartiene alla specie Cucurbita moschata, ha foglie grandi e lunghi internodi, tende ad arrampicarsi su ogni possibile appiglio però la parte aderente al terreno può emettere radici dai nodi. Tradizionalmente viene coltivato su pergole fatte con canne, sulle canne verticali di supporto vengono fatte salire le piante, eliminando le femminelle nel tratto verticale.

Questo sistema di coltivazione consente di ottenere zucchini diritti, mentre nella coltivazione a terra tendono a restare arrotolati. La raccolta si fa' alla fioritura, con zucchini lunghi 35 – 40 cm. Però possono essere raccolti anche qualche giorno più tardi senza perdere molto in qualità.


La semina può essere fatta in vasetto in serra per anticipare la coltura, mettendo due semi per vasetto e tenendo poi la piantina migliore, oppure direttamente a dimora con due – tre semi per postarella, sempre mantenendone poi una. Io preferisco il vasetto, trapiantando a fine aprile ma spesso ne metto qualche pianta anche a giugno per avere zucchini a fine estate.


La varietà originale da' zucchini molto lunghi, la zucca matura supera il metro, ma non sempre i semi che si trovano in commercio mantengono queste caratteristiche.


Gli zucchini sono praticamente senza semi, che si formano poi solo nell'ingrossamento apicale, possono essere consumati crudi in insalata affettati finemente, saltati in padella o trifolati con aglio e prezzemolo. Sono ottimi messi sott'olio come i funghi, quindi tagliati a tocchetti, cotti brevemente in aceto, asciugati su un canovaccio e messi in vasetto con olio d'oliva.

La zucca matura, con la sua forma a trombone, è molto decorativa; la polpa, di qualità discreta, può servire per minestroni o altri usi classici della zucca.


La trombetta di Albenga, o meglio il trombone, è quella davanti diritta, lunga quasi 140 cm., mi è stata portata da un amico contadino a cui avevo chiesto dei semi.

martedì 12 febbraio 2008

Cavolo Nero


di Giampiero

Ve lo dovevo dire prima di seminare il Cavolo Nero..


...ma quando questo blog è nato il tempo della semina era già lontano ed il cavolo nero era già pronto per il consumo. Procediamo con ordine.
Il Cavolo Nero (o Cavolo Riccio di Toscana) è un ortaggio coltivato prevalentemente in Toscana e zone limitrofe. E’ una bella pianta, con lunghe foglie lanceolate, verde scuro. Forse però quello che la rende una pianta simpatica è il suo essere stata per molto tempo una pianta per poveri. E’ infatti nota per essere ingrediente fondamentale nella “ribollita”, piatto tipico toscano e, come ogni cosa che si può fregiare oggidì dell’aggettivo “tipico” (meglio ancora se “toscano”), è oggi pagato a peso d’oro nelle trattorie “tipiche” (aridaglie…). Se si cerca la ricetta della “ribollita” in rete se ne troveranno svariate versioni (al forno, con o senza fagioli, saltate e poi bollite, etc.), ma fondamentalmente la “ribollita” era un piatto (uno dei tanti) di sopravvivenza contadina, soprattutto invernale.  Per riportare la sintetica “ricetta” riferitami da poco nostalgici anziani, la ribollita consisteva nel ri-bollire “ ‘i che’ c’era”, (quel che c’era disponibile),  ivi compreso il nostro Cavolo Nero, contendendolo agli animali: il Cavolo Nero era seminato anche per usarlo come foraggio; quando l’annata era grama, si “ri-bolliva” anche lui, preferendolo a bestie magari più in carne, ma al di là da venire.

Se vi sembra che ho maltrattato questo ortaggio, continuate a leggere e vi mostrerò che vi sbagliate. Il Cavolo Nero vive il suo trionfo in inverno. Quando tutto è mogio mogio,  il nostro prospera, con il suo verde carico e svettante, fornendo un po’ di verdura fresca in pieno inverno e senza alcuna protezione. Come è intuibile, annaffiature e cure dopo il trapianto sono molto vicine allo zero. Personalmente lo semino verso giugno o poco prima, con leggera variazione della mia famosa tecnica del cassette da frutta + bicchieri di plastica. Orbene: si prende una cassetta da frutta in plastica e ci si dispongono dentro i bicchieri di plastica (proprio quelli da bibite), forati sul fondo con un chiodo, temperino, cacciavite, etc. e riempiti di terriccio. Specifico: in una cassetta da frutta trovano posto ventotto bicchieri di plastica, e ventotto piante di cavolo nero forniscono un discreto prodotto per l’autoconsumo. Si seminano quattro o cinque semi per bicchiere, si ricoprono leggermente, si annaffia e si aspetta. Le pianticelle saranno pronte per il trapianto fra agosto e settembre. Per evitare che le giovani piante vengano attaccate dalla cavolaia (i bruchi le cui uova vengono deposte da quella simpatica candida farfalla che è una delle poche farfalle oggi abbondanti), copro la cassetta da frutta con un pezzo di tulle da bomboniera o rete anti-zanzare.

Il Cavolo Nero è ottimo solo se si becca una o più gelate in pieno campo. Le foglie vengono raccolte a mano a mano che crescono. A parte la citata “ribollita”, il Cavolo Nero è buonissimo anche solo saltato in padella (dopo scottatura in acqua bollente) insieme ad aglio, olio, peperoncino ed eventuale pancetta. I germogli e, soprattutto, i fiori non ancora schiusi che compaiono a fine inverno, sono (a mio modesto giudizio) assolutamente da non perdere per il loro sapore superiore a quello dei broccoli.

Per completezza d’informazione aggiungo che so dell’esistenza di un Cavolo Nero Salentino, di cui non conosco altro che il nome… ma qui chiedo ed attendo l’autorevole intervento di Angelo Passalacqua. 

lunedì 11 febbraio 2008

Fagiolo Borlotto

di Piero Bottiroli



Il fagiolo preferisce un terreno di medio impasto, soffice, con buon drenaggio,

fertile ma poco concimato; può anche servirsi della fertilità lasciata dalla concimazione precedente. Non ha ovviamente particolare bisogno di concimi azotati. Al terreno prima dell’inverno si può aggiungere un po’ di composto; personalmente però uso cenere di legna.

Patisce invece sia le carenze che i ristagni d’acqua e le erbe quando diventano troppo infestanti.

Un anno il raccolto è risultato scarso proprio per quest’ultimo motivo.

Da allora ho adottato qualche consociazione. In particolare si trova bene con il nasturzio (i cui fiori e foglie possono entrare anche loro in cucina nelle insalate)e con la santoreggia comune o montana (che li accompagna bene anche in tavola).

Non ho invece mai provato la consociazione con pomodori o patate, suggerita da alcuni testi.

Ho sempre coltivato il fagiolo in pieno sole cambiando ogni anno il luogo di semina.

Trovandomi quasi a novecento metri devo aspettare maggio o anche inizio giugno si dice che è bene che la temperatura non scenda sotto i 10°- per riporre in piccole buche di pochi centimetri tre semi a una distanza di circa trenta centimetri fra le file e cinquanta fra fila e fila (di solito alcuni manuali indicano distanze superiori).

C’è chi immerge i semi nell’acqua per una notte favorendo così una sorta di pregerminazione; è un’esperienza che non ho ancora tentato.

Accanto a ogni buca impianto una canna per permettere l’arrampicata. L’ho trovata la soluzione più semplice; ne esistono altre.( Quando i fagioli sono stati un anno vicino a una rete dove c’era un cespuglio di lampomore si sono arrampicati anche su di essa.)

Durante la crescita qualche irrigazione è utile, soprattutto quando il terreno tende a diventar secco fra lo spuntar dei fiori e la formazione dei baccelli.

Non ho mai dovuto utilizzare prodotti biologici o biodinamici per tener lontani afidi o malattie.

Il suo tempo di maturazione è circa di settanta giorni per l’uso da fresco o la surgelazione.

I fagioli possono essere da consumo fresco o secco, o adatti ad entrambi gli usi.

Utilizzandolo come fagiolo ceroso, da sgranare per consumo immediato o surgelazione , raccolgo i baccelli quando hanno un colore intenso o stanno appena iniziando a seccare. Ne lascio sempre alcuni sulle piante, non quelli troppo in alto né quelli troppo in basso, come dice da noi una tradizione per farne seme (alcuni testi consigliano di tener da seme “i fagioli dei primi palchi”. )



Come si ricavano i semi e come si conservano

Una volta che i baccelli sono seccati li tengo interi in una scatola o in semi sgranati dentro un sacchetto da pane. Questo fino all’anno successivo.

So che i fagioli da seme possono conservarsi a lungo, me ne è stata regalata una qualità che ha vent’anni, ma proviene da una cella frigorifera.

Per conservare i fagioli vanno raccolti ovviamente asciutti avendo la cautela che perdano buona parte di umidità e che il torchio- un coleottero “trivellatore”- non vi abbia deposto le uova.

La semente va controllata ogni tanto, quella guasta o grinzosa eliminata; lasciata poi in luogo fresco e asciutto. La tradizione con conferma di esperti propone un metodo empirico ma molto efficace: se il seme messo fra i denti e morso si spacca di netto è pronto per la semina.

Nel caso si seminassero altre varietà, si consiglia di tenerle un po’ lontane. In particolare dalla qualità Regina- vulgaris del fagiolo di Spagna- il cui fiore è visitato dalle api.

I fagioli raccolti per il consumo o li utilizzo freschi in minestre e altre preparazioni o li congelo in piccoli sacchetti di plastica.

La varietà che conservo è un “borlotto Cuneo”, ceroso, di piccole dimensioni (la qualità a consumo secco si chiama invece Billò ).



Proprietà e usi

Il fagiolo, la carne dei poveri, è ricco di proteine, potassio, amido, vitamine e fibre vegetali. Diminuisce l’ipertensione, regola il colesterolo, è utile per i diabetici; si ritiene leggermente afrodisiaco.

Gustoso, soddisfacente, si abbina con diversi altri ingredienti in cucina, costituendo spesso un piatto unico a me è sempre piaciuto molto, tanto che qualche anno fa avevo anche scritto un’Ode del Fagiolo.

In Piemonte piatti tipici sono la panissa vercellese, varie zuppe e minestre, fagiolate.

Altri piatti interessanti sono: ravioli ai porri con salsa di fagioli, gnocchi ai fagioli con ragù, frittelle.

Con i fagioli si fanno anche dei dolci.

Nella tradizione locale del cuneese si trovano l’insalata di fagioli, il patè di fagioli, i fagioli impanati.

Nella cucina delle Valli Occitane, fra cui la Valle Varaita, dove vivo, è ritornato un piatto, originario peraltro della zona pedemontana e della Valle del Kiè, la Ola o Olla al forno (da noi la grafia è un infinito problema!), in piemontese “ula”.

Nella pignatta di terracotta che dà il nome al piatto si sistemano verdure a strati alternandole con i fagioli (le verdure variano secondo il luogo e la stagione). Al centro si mettono o lo zampone o le costine di maiale.

Si copre il tutto con acqua e nella tradizione si mette nel forno a legna dove è stato cotto il pane,senza coperchio.

Se il pane non si fa e non si ha un antico forno si può cuocere comunque nel forno di casa, oppure lentamente come io faccio, sul putagè.

In quanto alle ore…il tempo di cottura in forno ne prevede una dozzina, il fuoco un terzo in meno.

Vi sono diverse teorie o riti sull’ordine di disposizione delle verdure nella pentola di terracotta.



Sta di fatto che, come ricorda giustamente Simone cuoco di Frassino, le verdure più leggere tendono comunque a salire. Quindi la disposizione si può far più che altro per gioco.

Anche lui conviene che si può far a meno di usar la carne e il piatto diviene comunque molto saporito.

Racconta Valentina: “nella ricetta di Boves “come la fa Rita che gliel’aveva insegnata sua mamma che gliel’aveva insegnata sua mamma…vi son patate aquadrettini e porri a rondelle quasi nella stessa quantità-4 e 5- ,una o due costine(perché lo zampone è troppo grasso), tre cucchiai di passata di pomodoro e un mezzo chilo di fagioli misti suonerà come un’antica eresia rispetto alle ricette dei libri! borlotti o regina rossi e cannellini bianchi”.

Fra le versioni possibili propongo la seguente evidenziando in corsivo le modifiche più evidenti rispetto a quanto proposto dalle ricette“di base”.



La ula (o olla)

( Ingredienti per 4 persone)

4 manciate di fagioli freschi ( o, se secchi, messi precedentemente a bagno per una notte o una mezza giornata);

1 chilo di patate

4 porri

1 cipolla rossa

3-4 spicchi d’aglio

aromi

qualche cucchiaio di salsa di pomodoro

dado vegetale o sale quanto basta uniti a cottura già avanzata o quasi al termine)

Disporre le verdure a strati intercalando con erbe aromatiche fresche sminuzzate con le forbici (la santoreggia o la salvia anche da sole, l’alloro e il rosmarino, come piace) e mettere a cuocere.

Talora, avendo ancor più tempo per la preparazione si può fare un soffritto con carota, cipolla, un po’ di sedano e gli aromi e poi di seguito aggiungere le verdure a strati e l’acqua.

( Se si vuole aggiungere prezzemolo, come qualcuno fa, sarebbe opportuno inserirlo a termine cottura; ma non mi sembra necessario)

L’acqua fredda (Rita la metterebbe calda) deve coprire tutti gli altri ingredienti o, se si vuole, superarli di un terzo.



sabato 9 febbraio 2008

Calendula

La calendula officinalis
La calendola:un fiore allegro che ci scalda , si mangia e ci cura.


di Piero Bottiroli
La calendula cresce un po’ dappertutto al sole Basta dimenticare qualche fiore sulla pianta per poi conservarne i semi che son seccati.Ma a volte la pianta, medesima nei climi più temperati sopravvive ai rigori invernali e in primavera si riprende.



Nella mia esperienza qualche pianta è sopravvissuta al gelo solo quest’anno non m’era mai capitato in dodici anni e quindi la semino in vaso (ad aprile o maggio) trapiantandola poi quando la piantina ha già formato diverse foglie. Da me trova posto nell’orto in piccole aiuole a cumulo, ma soprattutto su terreni di riporto o su rive terrose.Ne ho messa anche un po’ dietro la mia baita, ben esposta a sud. Sicuramente non disdegna il buon composto ma non l’ho mai vista patire altrove.

Se si ha l’accortezza di staccare periodicamente i capolini fioriti, la calendula ha un lungo periodo di fioritura . Ancora nel tardo autunno,con un po’ di fortuna, se non addirittura negli inverni caldi se ne possono raccogliere, conservare e consumare i fiori.
Tuttavia se i fiori, si vogliono utilizzare per produrre preziose creme e pomate oppure il sapone…meglio approfittare dell’estate; oltre non vi sarà più calore e tempo sufficiente.
La pianta presenta fiori molto luminosi che vanno dal giallo all’arancio dorato. Tutta la parte esterna può essere utilizzata: gli steli, che contengono una linfa con proprietà curative; le foglioline che entrano nelle insalate; i boccioli che come quelli del tarassaco e di altri fiori si conservano sott’olio come i capperi; i petali che producono un colorante giallo e possono venir adoperati-come colorante in cucina, nei tessuti, in lavaggi calmanti per gli occhi.
I fiori, freschi o secchi, presentano un sapore leggermente piccante e hanno la fama, uniti a riso o pasta, di poter sostituire lo zafferano direi meglio, alla curcuma. Non aspettatevi lo stesso gusto ma il risultato è davvero piacevole. Sempre a scopo alimentare li uso in insalate fresche di campo, per allietare e guarniscono formaggi morbidi al pari di altri fiori. Vi sono ricette che ne fanno un ingrediente per burro o dolci.
I petali, per l’aroma e il colore vivace, si prestano anche ad essere incorporati alla pasta fresca, così come alla besciamella o alla maionese.
Insomma sono un dono prezioso non solo per la vista ma anche per chi ama la cucina di erbe e fiori.
A quanto pare il suo nome deriva dal latino: poichè i fiori durano all'incirca un mese di vita sulla pianta, il nome deriverebbe da "calendae",  col quale gli antichi romani definivano il primo giorno del mese.


Ma ecco di seguito almeno la preparazione della pomata alla calendula.
Sono necessari i fiori, che mano a mano si raccolgono e si mettono a bagno nell’olio d’oliva in un recipiente ermetico che si lascia al sole; e’ necessaria della cera d’api naturale grezza meglio in pani. Poi bisogna lasciar fare al tempo. Se la burnia è un po’ grande e ci mette del tempo a riempirsi non importa, non siamo maniacali. L’importante è che i capolini interi si siano riempiti d’olio e di sole, si siano scaldati diciamo almeno per un mese e mezzo (ma anche da luglio a settembre).
A questo punto si filtra il contenuto del barattolo attraverso tela naturale e si conserva a parte il liquido ottenuto.
In un pentolino messo su fuoco molto basso si fa sciogliere a bagnomaria della cera e poi vi si aggiunge il liquido di “olio alla calendula” mescolando lentamente con cucchiaio di legno.
La proporzione suggerita dalla mia compagna, Elena, è 400 ml. di liquido di calendula per 450 gr. di cera d’api.
Quando il tutto vi sembra ben amalgamato con consistenza di una pasta liquida lo versate a caldo in piccoli barattolini e chiudete. Non dubitate, dopo poco il tutto si addenserà e avrete una pomata alla calendola, davvero buona per la pelle e per le scottature.

RIPRODURRE SEMI

di Giampiero

Questa guida la scrissi e pubblicai qualche anno fa su un altro sito. Preavverto che non credo di essere un "esperto" nè di aver esaurito l'argomento, che richiederà, anzi, ulteriori contributi.

Quattro cosette facili facili per farsi un po' di semi da soli e, addirittura, crearsi degli eco-tipi

Spesso e volentieri i nostri concetti, le parole stesse che usiamo semplificano la complessità della realtà. Il meccanismo dell’informazione moderna (veloce, in pillole, interessata, incontrollabile, digeribile, effervescente) confonde ancor più le acque estraendo dalla realtà l’inessenziale e lasciando in ombra l’essenziale (spesso meno facile e/o simpatico dell’inessenziale).

Quando poi si ha a che fare con una cosa plastica ed in ottima parte ignota, come è una pianta viva, centrare l’essenziale diventa particolarmente arduo.

Proverò qui a dare qualche pratico consiglio sulla riproduzione dei semi preavvertendo che ciò non vuol dire “fare come facevano i vecchi contadini” o “salvare una varietà”, questioni, a mio avviso, molto più complesse.

Riprodurre una varietà in purezza, significa, in buona sostanza, evitare che il polline di un’altra varietà fecondi il fiore da cui intendiamo prelevare il seme (naturalmente quando ne sarà uscito fuori il frutto).

Per essere chiari
:
se vogliamo riprodurre un peperoncino piccante dobbiamo evitare che il polline di un peperone dolce finisca sul fiore di quello piccante, proprio come se volendo riprodurre un Cane San Bernardo, dovressimo evitare che un bassotto intraprendente ci copra la nostra cagna San Bernardo. Per inciso evidenzio che il Bassotto ed il San Bernardo sono due varietà di una stessa specie (il cane) proprio come il peperone piccante e quello dolce sono due varietà (spesso, ma non sempre) di un’unica specie (Capsicum annuum).

Il polline si trasmette da una pianta all’altra tramite insetti e/o vento. Quindi o dobbiamo bloccare il polline con ostacoli fisici oppure dobbiamo frapporre distanze di sicurezza che rendano quantomeno improbabile una fecondazione indesiderata. Gli ostacoli fisici sono in genere rivestimenti di materiale vario (reti a maglie molto strette, tulle da bomboniera, etc.) che coprono i fiori o l’intera pianta.


Gli isolatori sono particolarmente efficaci in tutti quei casi in cui l’impollinazione è favorita dagli insetti e per quelle varietà che hanno fiori ermafroditi (che hanno cioè sia organi maschili che femminili e che quindi possono fare tutto da soli). In particolare gli isolatori sono utili per solanacee (pomodori, peperoni, melanzane, etc.) e molti ortaggi da foglia (in particolar modo lattughe).


Personalmente realizzo isolatori con tre canne e tulle da bomboniera (comprata al metro nei negozi di tessuti) tenuto fermo da mollette per panni, realizzando, per intendersi, una tenda indiana al cui interno racchiudo la pianta. Ogni tanto scuoto un po’ la pianta per favorire la circolazione del polline all’interno della “tenda” e levo la copertura appena si sono formati i primi frutti. Marco i frutti “isolati” con un nastrino colorato. Per riprodurre piccoli quantitativi di semi consiglio vivamente di adottare il metodo degli isolatori e non quello delle distanze di isolamento.

Aggiungo che la presenza di fioriture che “distraggono” gli insetti (aromatiche, ornamentali, etc.) diminuiscono le visite impudiche sui nostri virginei ortaggi.

Maggiori problemi sorgono con piante il cui polline viene trasportato soprattutto o esclusivamente dal vento (mais) oppure da piante con fiori “maschi” e fiori “femmine” (zucche, zucchine, cetrioli, etc.).
Nel primo caso bisognerà affidarsi alle distanze di sicurezza e/o a isolatori a tenuta stagna… ma mi fermo qui perché non ho alcuna esperienza pratica in merito. Nel secondo caso bisognerà provvedere alla impollinazione manuale e/o ricorrere a distanze di sicurezza siderali (alcuni chilometri di distanza da eventuali altre varietà, soprattutto in assenza di ostacoli tipo rilievi, boschi, fabbricati di notevole mole, etc.).

In buona sostanza: a chi inizia e/o non può dedicare troppo tempo alla cosa consiglio di cercare di riprodurre solanacee, lattughe, legumi (generalmente poco visitati dagli insetti).


Il prelievo dei semi dal frutto “isolato”
deve essere effettuato quando il frutto è ben maturo.

In sintesi:

 
  • i semi di pomodoro e peperoni vanno raccolti
    quando il frutto è ben maturo, ma non ultra-maturo (moscio);
  • i semi di melanzana devono essere raccolti
    quando il frutto comincia a diventare marrone (e non più buono da mangiare);
  • i semi di lattuga
    devono essere raccolti a mano a mano che maturano (consiglio, se possibile, di inclinare la sommità fiorita in modo da favorire la caduta dei semi in un panno forato o molto permeabile all’acqua da svuotare spesso);
  • i semi dei legumi vanno raccolti
    quando il baccello quasi “scoppia”;
  • i semi di zucche, zucchine
    quando ci troviamo di fronte dei zucconi (non più mangiabili nel caso delle zucchine); uguale nel caso dei cetrioli.

E’ ovvio che la pianta ed il frutto da cui ricaveremo i semi dovranno essere sani, forti e belli.

Per prudenza si può procedere anche ad una disinfezione delle sementi. Questa si attua in diversi modi: una soluzione di estratto di valeriana molto diluita (1%), soluzione di candeggina (mai fatta ‘sta cosa…).

Pomodori e cetrioli si possono disinfettare lasciando semi e polpa a fermentare per qualche giorno all’ombra ma con temperature abbastanza alte. Poi (soprattutto se in superficie si è formata una preoccupante (alla vista) ma benefica (negli effetti) muffettina biancastra, si sciacquano ripetutamente i semi per separarli dalla polpa (magari con l’aiuto di un colino da the), poi si faranno asciugare per benino all’ombra (n.b.: meglio non su carta assorbente) ed infine si conserveranno, preferibilmente in barattoli di vetro/plastica.

Alcuni anni di ‘sto mambo avranno per effetto quello di tendere a produrre un eco-tipo, cioè piante che tenderanno ad essere adattate ed adatte al nostro particolare orto ed alle nostre particolari tecniche di coltivazione. Una soddisfazione non da poco che potremo via via ornare magari di un bel nome e farlo entrare nell’olimpo degli heirloom (tesori di famiglia: così li chiamano gli americani… ‘mazza l’americani…)

Preso da un raro raptus di perfezionismo, fornisco una tabella (n.b.: basata sulla mia personale esperienza) in cui cerco di riassumere distanza di isolamento, metodo di isolamento consigliato, modalità di raccolta semi, note particolari, relative ad alcuni ortaggi (pochi a dir la verità…). Va da sé che tale tabella potrebbe essere arricchita/corretta da altri utenti.


POMODORO

DISTANZA DI ISOLAMENTO CONSIGLIATA m. 50 (maggiore per varietà a foglie di patata, minore per ciliegini)

METODO DI ISOLAMENTO CONSIGLIATO Isolatore che protegge fiore o intera pianta

RACCOLTA DEL SEME Quando il frutto è maturo ma non sfatto.

Far fermentare semi e polpa e poi lavare ed asciugare..

NOTE Attenzione agli isolatori che innalzano troppo la temperatura (fallisce la formazione del frutti)



PEPERONE


DISTANZA DI ISOLAMENTO CONSIGLIATA m. 200 (fiori appetiti da insetti)


METODO DI ISOLAMENTO CONSIGLIATO Isolatore che protegge fiore o intera

pianta

RACCOLTA DEL SEME Quando il frutto è quasi del tutto maturo.

Meglio non sciacquare i semi.

NOTE Come per Pomodoro. Tenere presente che tutte le specie di peperoni e peperoncini sono interfertili



MELANZANA


DISTANZA DI ISOLAMENTO CONSIGLIATA m. 200 e più


METODO DI ISOLAMENTO CONSIGLIATO Isolatore che protegge fiore o intera

pianta

RACCOLTA DEL SEME Quando il frutto è in buona parte marrone,

ma non sfatto

NOTE Attenzione agli isolatori che innalzano troppo la temperatura.



ZUCCHE E ZUCCHINE


DISTANZA DI ISOLAMENTO CONSIGLIATA Km. 2 (e a volta manco basta)

METODO DI ISOLAMENTO CONSIGLIATO Impollinazione manuale (tenere chiuso il fiore femmina con mollette o scotch ed aprirlo solo per spennellarne l’interno con polline prelevato da fiore maschio e  richiudere fino a inequivocabile formazione del frutto)

RACCOLTA DEL SEME Quando il frutto è grossissimo

NOTE Zucche e zucchini (almeno le varietà più

usuali) sono interfertili


LATTUGA


DISTANZA DI ISOLAMENTO CONSIGLIATA m. 20

METODO DI ISOLAMENTO CONSIGLIATO Isolamento tramite distanza

RACCOLTA DEL SEME I semi maturano scalarmente e tendono a cadere

NOTE Attenzione ad eventuali fioriture di lattuga selvatica nelle vicinanze


CETRIOLO


DISTANZA DI ISOLAMENTO CONSIGLIATA m. 800 è più

METODO DI ISOLAMENTO CONSIGLIATO Come per zucche e zucchini

RACCOLTA DEL SEME Quando il frutto è grossissimo. Far fermentare i semi come per pomodoro.

NOTE Piuttosto complicata l’impollinazione manuale


FAGIOLI

DISTANZA DI ISOLAMENTO CONSIGLIATA m. 50-100

METODO DI ISOLAMENTO CONSIGLIATO Isolamento per distanza

RACCOLTA DEL SEME Quando il baccello tende ad aprirsi

NOTE Fagioli normali (ad es.: Borlotti) si ibridano molto difficilmente con Fagioli dall’Occhio

giovedì 7 febbraio 2008

Bietola da coste

(beta vulgaris cycla,  fam. chenopodiacee)

di Angelo Passalacqua

Coltivo la bietola da coste da 35 anni almeno, ma potrei dire da sempre. E’ questo un ortaggio molto coltivato nella mia zona, l’ultimo comune pugliese, a confine col territorio di Matera, Basilicata.
I miei terreni sono a 500mt slm, nel territorio detto le Murge, che da qui inizia a salire e dopo essere arrivato alla massima altezza in località Torre Disperata (686mt) scende verso la costa adriatica. E’ un altopiano di roccia calcarea, caratterizzato dal fenomeno del carsismo, assenza di acque in superficie, l’acqua piovana scompare nel sottosuolo ricco di grotte, doline, e inghiottitoi.
Il terreno è alcalino e sabbioso, il clima è continentale, con abbondanti nevicate e temperature invernali che arrivano facilmente a -10° anche per più giorni, ed estati torride ed aride.
A questo territorio così diverso dal luogo di origine (ricordo che Bari è sulla costa adriatica, a 40km) la Bietola Barese si è ben adattata. La bieta a costa bianca e la bieta a costa argentata raggiungono dimensioni notevoli, con coste alte 25cm e larghe 8-9cm, le radici con facilità affondano nel terreno anche 80 centimetri.
Per questo adotto la coltivazione detta “a letto profondo” cioè rialzata dal livello del suolo. La concimazione la effettuo interrando con anticipo letame maturo e compost seminando senape bianca da sovesciare prima di coltivare la bietola.
Interro i semi in primavera e poi in settembre le varietà invernali. L’aiuola non deve trovarsi in posizioni che favoriscano il ristagno di umidità, deve drenare facilmente, pur assicurando il fabbisogno di acqua di cui la bietola necessita, non tollerando la siccità.
Utile la pacciamatura con paglia per la coltivazione primaverile-estiva.
Il seme, detto glomerulo, in realtà contiene più semi, fino a 5, dando origine a più piantine, va seminato alla distanza di 30-40cm da pianta a pianta e alla profondità di un paio di centimetri.
Le piantine vengono fuori in 7-15 giorni con temperature attorno ai 10°.
Uso consociare carote e cipolle con le bietole.
La raccolta va fatta tagliando le coste qualche centimetro sopra al colletto, facendo attenzione a non toccare le foglie centrali.
Il capitolo parassiti inizia dalle anguillule del terreno, che combatto efficacemente col sovescio di senape e mettendo piante di calendula tra le biete.
La mosca minatrice che scava gallerie nelle foglie non tocca la costa, se necessario si combatte con estratto di assenzio. Attenzione a lumache ed afidi.
Vi risparmio l’elenco delle malattie fungine, in quanto se l’aiuola è ben posizionata in zona ventilata e senza ristagni d’acqua difficilmente sorgono problemi.
In caso di necessità contro cercosporiosi, peronospora e mal bianco si possono usare i soliti rimedi a base di rame e zolfo, ma un buon biocoltivatore dovrebbe evitare l’uso di metalli!!
La bietola è pianta biennale, l’impollinazione avviene sia tramite insetti che col vento, si incrocia facilmente con la bietola da orto e con la bietola da taglio (erbetta).
Essenziale, quindi tenere distanze notevoli tra varietà diverse per non ibridare i semi e prendere i semi delle piante che si trovano al centro della coltivazione. Ad esempio, se avete 15 piante disposte su 3 file lascerete andare a seme solo le 3 piante della fila centrale, scartando la prima e l’ultima pianta della fila.
Efficacissimo il sistema di incappucciare più piante con sacchi di tnt, tessuto non tessuto, fermando i bordi al suolo con terra e scuotendo ogni tanto il sacco per creare movimento d’aria all’interno. Le piante scelte vanno lasciate crescere liberamente senza raccogliere le coste, la pianta produrrà dal centro un gambo ramificato alto più di un metro, che va cimato per avere semi migliori, più grossi sui rametti laterali, tagliare lo stelo quando i semi diventano scuri, ma non completamente secchi, altrimenti il seme cade spontaneamente a terra. Lasciate asciugare all’ombra, raccogliete i semi su un foglio di carta facendo scorrere i gambi secchi fra le dita, mettete i semi asciutti in buste di carta poste poi in contenitori a chiusura ermetica (ottimi quelli in latta per il caffè, ad esempio). Le mie prove di semina dicono semi vitali per 5 anni e più, ma consiglio di non superare i 3 anni.

Tra le ricette tradizionali che prevedono l’uso di bietola ho scelto la più semplice ma gustosa. Almeno per me. Occorre lessare in acqua salata coste e foglie tagliate in pezzi abbastanza piccoli cominciando dalle coste che abbisognano di qualche minuti in più di cottura e poi dalle foglie. Scolate al dente (cotte al vapore sarebbe il massimo!!) e versate le verdure in un’altra pentola dove avrete fatto stufare (non friggere!!) olio extra vergine, qualche spicchio d’aglio e 5-6 pomodorini. Fate insaporire per qualche minuto e servite caldo. Da me tutte le verdure stufate prevedono la presenza del purè di fave, chiamato anche macco, o ancora meglio, il purè di cicerchie.

mercoledì 6 febbraio 2008

Uomini, piante ed altro

di Giampiero


Se dovessi dire cosa mi piacerebbe fare da grande, forse non risponderei “il contadino”, ma “il cantastorie”. Non sono un granchè come contadino e nemmeno come cantastorie. Raccontandovi qualche storia in questo blog, credo però di fare meno danni. Cercherò di tanto in tanto di raccontare una storia dove uomini, piante ed altri orgamismi sono stati protagonisti di storie in cui non si capisce dove finisce l'uomo e dove inizia una pianta. Naturalmente queste storie non sono da prendere come “lezioni” scolastiche, in cui c'è una autorità parlante e degli ascoltatori che subiscono. Anzi: racconto queste storie come invito ad allargarle, approfondirle, raccontarne altre.

La prima storia che racconterò non ha come protagonista un ortaggio, ma un fiore: il tulipano. Questa storia ha però il vantaggio di intrecciare molti temi interessanti (almeno per me) relatiivi al rapporto uomo/piante, un rapporto ecologico, economico e simbolico. Cosa c'è di più romantico di un fiore? Sembrerebbe essere stato creato solo per la bellezza ed i sospiri al chiaro di luna. Un tulipano, poi, di certo non si mangia e la sua fioritura dura anche un po' pochino. Insomma: chi potrà mai impazzire per un tulipano? Eppure... Ma cominciamo dall'inizio...
I tulipani erano apprezzatissimi dai turchi ed ancora oggi le guide accolgono i turisti con un sorprendente “Benvenuti in Turchia, il paese dei tulipani e di Babbo Natale!”. Beh... San Nicola (divenuto poi Santa Klaus nei paesi del Nord e Babbo Natale rosso vestito su decisione della Coca Cola) nacque proprio lì, in Turchia. E i tulipani fecero all'incirca lo stesso percorso. A quanto pare fu nel 1554 che i primi bulbi arrivarono in Europa, dono prezioso alla corte degli Asburgo. Da lì raggiunse Leida, in Olanda, trasportato un po' sottobanco dal botanico Clusius. Il signor Clusius era gelosissimo dei suoi tulipani per cui il fiore determinò un secondo furto: a Clusius furono rubati alcuni bulbi. Da lì inizia la tulipomania, un qualcosa che divenne più di una mania, più di una moda, più di una speculazione: tutti gli olandesi volevano far crescere tulipani nei loro piccoli giardini e conche. Il tulipano più ambito di tutti era il Semper Augustus, con petali “fiammati” di rosso: un bulbo di questa varietà avrebbe fruttato un discreto gruzzolo. Ma qui stiamo ancora parlando di una fase iniziale della tulipomania, una fase durata circa i primi trenta anni del 1600. Pian piano la tulipomania aumentava la sua temperatura: creatori di varietà veri e fasulli cominciarono a spuntare dovunque in Olanda, venditori di intrugli per veder fiorire un Semper Augustus da un banale bulbo si atteggiavano a gran professoroni, i prezzi salivano. I mercanti di bulbi si riunivano in una taverna pare gestita da una famiglia italiana, i Della Borsa. In questa taverna i mercanti di bulbi contrattavano prezzi, vendevano fioriture e bulbi futuri, a volte si finiva a bottigliate. I prezzi salivano. Il Semper Augustus raggiunse cifre da capogiro: 1800 fiorini a bulbo. Mentre rimanevano ignoti i più elementari dati della genetica, incerto il fiore che sarebbe spuntato fuori dopo un bel po' di mesi, ignoti a volte i creatori e venditori di bulbi, nella taverna Della Borsa si affinarono le “scommesse” finanziarie che oggi hanno altri nomi. Si contrattava a colpi di centinaia o mifliaia di fiorini, ci si impegnava o vendeva case, si investivano risparmi... in bulbi di tulipano. Dal 1635 al 1637 la “bolla” si gonfiò, di giorno in giorno: tutti erano “esperti” di tulipani, tutti investivano in tulipani, tutti si arricchivano con i bulbi di tulipano. Finchè... finchè il due Febbraio 1637 i fioristi si riunirono nella solta taverna, per vendere all'asta i propri bulbi. Un offerente iniziò a vendere i suoi a 1250 fiorini, ma nessuno rilanciò. L'offerta passò a 1100 fiorini, a 1000 fiorini, a 900... a nessuno interessavano i suoi bulbi. Fu il crollo, il crack, lo scoppio della bolla: ci si accorse che i bulbi non erano neanche buoni da mangiare. La catena si spezzò e il domino fece crollare tutte le proprie tessere: bulbi, immobili, navi, imprese... Alcuni storici sostengono che il “crack dei tulipani” fu per profondità superiore a quello del 1929, inaspettato quanto questo: il 23 ottobre il Wall Street Journal citava Mark Twain “Non separarti dalle tue illusioni, Quando se ne saranno andate potresti non essere più vivo”, una bella frase, ma da calare nel concreto; il 24 ottobre 1929 era un giovedì, il Giovedì Nero. La crisi del crack dei tulipani durò anni, molti cirimisero l'esistenza e cumuli di bulbi furono fatti marcire. Ma la storia ha le sue sottili ironie: il tulipano diventò uno dei simboli dell'Olanda, la vecchia taverna Della Borsa diede il proprio nome ai santuari della finanza, i bulbi (non solo di tulipano) sono ancora una redditizia attività degli olandesi.
Ed il Semper Augustus? La fiammatura rossa dei suoi petali aveva creato una leggenda, pagata a peso d'oro, fatto ardere desideri, sogni e prezzi. Un fuoco alimentato da un virus: la “fiammatura” dei petali era la manifestazione di un'infezione virale, veicolata dall'afide del pesco. L'afide passava dai peschi ai tulipani, gli regalava una splendida colorazione ed in cambio indeboliva l'intera pianta. Chi riproduceva affannosamente il Semper Augustus, diffondeva il virus. Il Semper Augustus era solo un sogno passegero. E dannoso.

Sulla "bolla dei tulipani" vedi anche wikipedia

lunedì 4 febbraio 2008

Coltivazione pomodori

Pomodoro (Lycopersicon esculentum)
di Adriana Calderoni



Coltivo i pomodori da quando avevo 16 anni e ora ne ho 44. Perché adoro i pomodori. Però li ho coltivati in orti sempre diversi e di conseguenza anche in terreni sempre diversi. A livello del mare (Genova) e sull’appennino a 800 metri (Liguria e Appennino Romagnolo).

Attualmente coltivo le piante di pomodoro nell’orto di casa mia, sulle colline del basso Piemonte in provincia di Alessandria. Il terreno qui è povero, abbastanza permeabile, non argilloso. Ma sempre in questa zona ho coltivato i pomodori nel terreno della comunità dove lavoro, terreno pianeggiante e fertile come anche nei giardini delle scuole. Clima piuttosto simile, ma risultati sempre diversi.
Ho l’abitudine di interrare nel terreno durante l’inverno un po’ di cenere di legna e la fuliggine del camino, soprattutto quest’ultimo pare sia ricco di Sali potassici e mi è stato sempre raccomandato da amici coltivatori biologici
Di solito uso una concimazione di origine animale, letame, o del concime organico pellettato quando non ne ho disponibilità.
Il metodo che utilizzo ormai sempre e che spesso vedo fare anche dai vecchi contadini è realizzare una specie di scavo lungo (la profondità di almeno due vangate) sotterrando foglie letame o concime organico e del compost maturo. Poi ripristino rimettendo la terra nel fosso e lì vi trapianto i pomodori quasi a fine primavera.
Ho sperimentato che così facendo le piante soffrono meno la siccità e si possono innaffiare poco se non addirittura per niente dopo che esse hanno attecchito. Quindi io trapianto le piantine un mese dopo averle seminate, le innaffio per circa una settimana o dieci giorni quotidianamente e dopo molto raramente. Di solito sistemo le piante a 40 cm una dall’altra nel filare. I filari tra loro un metro così da passarci in mezzo.

Semina
Semino i pomodori di cui ho pochi semi uno (o due) per vasetto o in plateau con dischi di torba segnando precisamente la varietà con un pennarello indelebile; spesso ho avuto errori per non aver segnato bene, soprattutto in presenza di molte varietà e numerose piante. Se ho molti semi invece li semino in un vaso rettangolare profondo anche fitti , ma devo poi effettuare un altro trapianto in vasetti prima di metterli direttamente in terra. Faccio germogliare in casa e circa dopo 5-6-7 giorni quasi tutte le varietà sono germinate (temp. Minima 15°). Aumentando il numero di vasi e piantine incomincio a trasferirle in serra fredda, comunque ben esposta e devo stare attenta a bagnare bene soprattutto in giornate asciutte e calde, aprendo degli sfiati alla serra per far circolare aria. Non mi è mai capitato di avere malattie all’interno della serra fredda, ma in caso di elevata umidità e calore può svilupparsi peronospora e bisogna trattare le piantine con poltiglia bordolese. Come ho detto prima dopo circa un mese, 40 giorni, devo trapiantare le piante in piena terra e si spera che non vi sia una primavera fredda e piovosa perché le piante si fermano un po’. Con il mio clima io inizio a metà maggio e vado fino a metà giugno.
Ho preso l’abitudine di inserire piantine di calendula tra le piante di pomodori e fare concimazioni di copertura con ortica fresca come pacciamatura. Inoltre tengo sempre pronto un macerato di ortica lasciando 2-3 kg di pianta fresca in un recipiente con 30-40 litri d’acqua per almeno 15 giorni. Questa soluzione (puzzolente) la uso una volta ogni 15 giorni per irrigare le piante, sempre in basso direttamente nel terreno e serve da concime. Dosare la concimazione però non è facilissimo, in caso di pellettato si può esagerare e trovarsi, in primavera e inizio estate, con colonie di afidi sui fusti e sulle foglie che indeboliscono leggermente la pianta e ne fanno arricciare le foglie. Io però non faccio nessun trattamento per scacciarle se non un'irrorazione con poltiglia bordolese e semmai macerato di aglio e assenzio. Ritengo fondamentali le pacciamature che proteggono il terreno in caso di forte insolazione e uso normalmente erba di sfalcio, ortica o paglia. La pacciamatura la sistemo quando le piante sono abbastanza alte da poter essere legate al tutore e dopo aver dato una zappettata per togliere eventuali infestanti e rincalzare le piante. Dove nasce molto convolvolo è difficile estirparlo completamente in quanto le sue radici sono profonde, allora anche in presenza di pacciamatura ogni tanto ripasso con la zappa o manualmente. Per i pomodori che si tengono bassi, a crescita determinata, e che non necessitano tutore la pacciamatura la faccio al momento del trapianto anche con film nero o telo nero di mais.

Patologie e coltura.
Le patologie che ho riscontrato frequenti in questi anni sono gli afidi, la peronospora, il marciume apicale e la cimice, poi alcuni difetti sui frutti se la stagione è troppo calda e le varietà che ho coltivato sono sensibili alla spaccatura del frutto.
Come ho già detto per gli afidi non prendo alcun provvedimento e comunque in un orto biologico generalmente si crea nel tempo una sorta di equilibrio nella microfauna per cui non ho mai avuto danni rilevanti.
Purtroppo il marciume apicale invece danneggia gravemente i frutti soprattutto in annate molto calde e con poche precipitazioni durante la stagione primaverile ed estiva (qui siamo stati due e anche tre mesi senza vedere un goccio di pioggia) in questo caso alcune varietà ne soffrono maggiormente (vedi S. Marzano) ed altre meno (Pomodoro Re Umberto) e il trucco, mi pare, sta a fare frequenti irrigazioni (due o tre al giorno) senza infradiciare il terreno. Parlo di acqua lasciata depositare in un grande recipiente, in particolare quella ottenuta dal pozzo sia di sorgente che di raccolta di acqua piovana. Il caldo eccessivo può anche diminuire la formazione di fiori e la loro fecondazione e rallentare il processo di crescita delle piante. In questo caso bisogna avere pazienza e attendere che la stagione si rinfreschi un po’.
Per la peronospora io uso irrorare poltiglia bordolese, ma non così frequentemente come vedo fare da altri contadini della zona. Io do il verderame solo se vedo sofferenza nelle piante o se il clima è terribilmente umido.
Un danno anch’esso molto antipatico è quello causato dalla cimice verde (Nezara viridula) o analoghi. Esse compaiono verso fine estate e si vedono le piccole ninfe a gruppi spostarsi sui frutti. In poco tempo esse diventano adulte e i pomodori manifestano nei frutti macchioline (le punture) e poi decolorazioni del frutto che è poi immangiabile. Purtroppo non ho ancora sperimentato metodi biologici efficaci e mi pare che anche la lotta chimica abbia modesta efficacia. Potendo bisogna eliminare gli insetti manualmente e sperare che compaiano verso la fine della stagione del raccolto.
I pomodori che necessitano di tutore, si sviluppano quindi in verticale, iniziano a formare germogli all’ascella delle foglie (le cosiddette femminelle), io tolgo le femminelle con un coltellino affilato per avere una pianta contenuta e un numero minore di fiori e quindi i fiori rimasti producono frutti più grossi . A volte però il fusto principale si dirama in due, anche su più piani: io questi nuovi fusti li lascio crescere e mi preoccupo di avere un tutore sufficientemente robusto per sostenere tutta la pianta. In climi dove l’estate è breve come ad una certa altitudine (ma comunque sotto i 1000 metri) ho copiato dai contadini della zona l’abitudine di cimare le piante di pomodori e di togliere le foglie che coprono troppo i frutti. Lo scopo di questa “mutilazione” è di favorire la piena maturazione dei frutti prima che arrivi il freddo, ma non bisogna esagerare perché le foglie che sono responsabili della fotosintesi e che producono zuccheri devono essere sempre in buon numero, soprattutto quelle alte nel fusto.
I pomodori della varietà ciliegina sono piante che raggiungono facilmente i due metri di altezza e per questo motivo i bastoni che le sorreggono devono essere piuttosto alti e robusti.

Descrizione delle varietà locali che coltivo.
Io coltivo ogni anno un certo numero di varietà che mi hanno convinto sia per il loro gusto sia per la facilità di coltivazione, mentre tralascio quelle che si sono dimostrate sensibili a malattie , a spaccature o a marciume apicale.
Tra le mia preferite c’è il pomodoro costoluto genovese, il pomodoro Re Umberto, il Pendinn-a grossa, il pomodoro da chilo dellla garfagnana, il purseminn-a, il brandywine e vorrei trovare il pomodoro di Cambiano che è una varietà coltivata e selezionata in Piemonte e sto incuriosendomi con le varietà che si consumano d’inverno come il datterino e il pomodoro rosa.
Coltivare i pomodori sempre nella stessa area dell’orto non è positivo, l’ho sperimentato direttamente, le piante si sviluppano con meno vigore e si ammalano più facilmente. E’ necessario quindi ogni anno cambiare posto e cercare di rispettare le giuste rotazioni.
Tra le consociazioni sperimentate io ho trovato molto positive pomodori-insalate e pomodori – cipolle.

Annotazioni personali.
La mia opinione personale sulla coltivazione dei pomodori è che non utilizzando concimazioni precise, ma soltanto aggiunte di stallatico, e con i climi asciutti di queste ultime stagioni estive, spesso le mie piante pur non presentando malattie devastanti non apparivano rigogliose come quelle del “vicino di casa”: ma ho sempre raccolto frutti decisamente gustosi e dolci anche se a volte leggermente più piccoli rispetto alle caratteristiche della varietà. Naturalmente ho i miei gusti in fatto di varietà e prediligo quelle a frutto dolce, rosso, semmai rosa, e da insalata preferisco le forme costolute, con pochi semi.
Fin dai primi esperimenti nel giardino dei miei genitori ho convinto tutti che gli ortaggi coltivati da noi sono più buoni: nessuno si è mai lamentato, anzi. In comunità per esempio i miei colleghi allergici all’agricoltura e alla terra (la terra è bassa) però non disdegnavano le quantità di pomodori di più colori e forme che arrivavano sulla tavola ogni giorno d’estate. Il classico gusto del sole, anche se siamo in Piemonte. I pomodori non deludono mai.
Un insegnamento importante avuto sulla coltivazione dei pomodori mi è arrivato da alcune persone che coltivavano biologico qualche anno fa, circa 25, sull’appennino tosco romagnolo. Altitudine 700 metri.
Il clima era ventoso, l’acqua disponibile poca, l’estate asciutta. Le nostre trecento piante crescevano “stentate”, ma nessuno si preoccupava. Si portava l’acqua da una piccola sorgente a dorso d’asino con contenitori vari a rotazione alle varie parti dell’orto, ai pomodori capitava si e no una volta ogni quindici giorni. I frutti raccolti erano buonissimi!
Ancora: non abbiamo mai dato il verderame, grazie appunto alla poca umidità relativa dell’aria.
Se guardiamo un po’ negli orti dei nostri vicini invece si vedono piante azzurre e irrorazioni misteriose frequenti, piante vigorosissime e invidiabili. Una volta appunto un mio vicino mi ha regalato orgoglioso un cesto di pomodori “spagnoli” che riproduceva ogni anno. Mi ha stupito come potesse mangiare quella roba. Insignificanti ed insipidi, con una parte interna bianca e legnosa immangiabile.


Come si ricavano e si conservano i semi.
Isolo le diverse varietà a non meno di 10 metri, a distanze minori ho avuto delle ibridazioni, raccolgo i frutti maturi e belli e li spappolo in un bicchiere dove ho messo l’etichetta della varietà. Lascio la poltiglia a fermentare in casa per qualche giorno; quando la poltiglia si divide e presenta una parte liquida sul fondo del bicchiere e la polpa con i semi in superficie prendo questa polpa e la lavo dentro un contenitore più grande con acqua corrente fino ad eliminare tutti i residui del pomodoro e sciacquo ancora i semi attraverso un setaccio piccolo. Metto i semi in un piatto ben allargati ad asciugare, ma senza utilizzare carta. Una volta ben asciutti e seccati li ripongo in pacchettini di carta e al buio in scatole in una stanza fresca della casa. Cerco di selezionare i semi eliminando quelli neri e difettosi. I semi dopo 4 o 5 anni sono ancora vivi e mantengono la germinabilità.


Ricetta familiare.
La mia ricetta di una zuppa che i bambini adorano.
Crema di pomodori:
Faccio la salsa con i pomodori ben maturi, varietà preferite Re Umberto, oppure tutte le varietà ma che siano ben mature e rosse, passo al setaccio la salsa. Faccio rosolare un po’ di farina nell’olio e aggiungo un po’ di brodo vegetale come per fare la besciamella e aggiungo la salsa. Tempo di cottura a inizio bollore qualche minuto. Aggiungo del basilico a fine cottura fresco rosso o verde genovese. Un po’ di sale e un filo di olio ev di oliva. Preparo crostini di pane casereccio che vanno tuffati nella zuppa .