domenica 28 dicembre 2008

Peperone di Senise

Famiglia: Solanaceae, var. capsicum annuum

di Angelo Passalacqua
Il peperone di Senise è l'esempio lampante della necessità della biodiversità in generale, le varietà del medesimo ortaggio in particolare.
Questa varietà viene coltivata fin dal 1600 a Senise e vicinanze, siamo al confine tra le province di Potenza e di Matera, con terreni freschi e fertili siti tra i fiumi Sinni e Agri. Non è tra i peperoni più grossi, nè tra i più ricchi di polpa, le sue qualità sono altre! Ricordo che è un prodotto Igp, c'è un Consorzio che lo valorizza e tutela con un Disciplinare.
Và detto subito che il peperone di Senise non è una sola varietà bensì tre, differiscono tra loro per la forma della bacca, come ortaggio fresco sono ottimi ma vedono l'utilizzo come prodotto da serbo e qui non ci sono rivali. Si tratta di una varietà resistente alle avversità, richiede non eccessive quantità di acqua, ha lo "spessore" giusto per la polpa che consente di conservarlo appeso dopo averlo disidratato in modo assolutamente naturale, in collane lunghe fino a due metri, dette "serte".

Una "serta" di peperoni di Senise

Ciò è possibile perché il peduncolo non si stacca dalla bacca e i peperoni vengono infilzati con ago e filo, uno ad uno.

Particolare

Sono sicuro sia inutile ripetere le descrizioni botaniche del peperone, mi limito a scrivere qualche nota. Capsicum viene dal "solito" greco, "kapto" e significa "mordere", si può intuire che sottolinea il sapore della bacca mentre annuum deriva dal latino e stà per "annuo, annuale", dato che nel nostro clima non è pianta perenne come nei luoghi di provenienza. Il peperone è pianta amante del caldo, và seminato in semenzaio riscaldato e protetto, da Febbraio.

Il peperone di Senise è di sapore dolce, di colore verde che vira ad un rosso intenso a maturità, le dimensioni della bacca misurano 13-15 centimetri. C'è un peperone simile (non uguale!) a quello di Senise, viene coltivato in Puglia e risponde al nome di "Cornaletto", viene consumato sia fresco che essiccato, la bacca è in versione dolce e versione piccante (moderata, non siamo al livello del peperoncino, il "diavolicchio"...)

Non posso non parlare dell'impiego principe, quando il peperone secco viene tuffato per qualche minuto in olio bollente, dove rinviene e ritorna croccante , come fresco.Sono i cosiddetti "peperoni cruschi", da "crocchiare". Il peperone di Senise viene anche macinato ed entra come ingrediente in varie ricette, colorando di un bel rosso le salsicce, ad esempio, viene detto "zafarano".
Alcuni link interessanti:
Dop peperoni di Senise

lunedì 22 dicembre 2008

Asfodelo

Famiglia: Asphodelaceae

di Angelo Passalacqua


"Stolti, perchè non sanno quanto più grande è la metà dell'intero né quanto grande ricchezza si cela nella malva e nell'asfodelo".         
                               Esiodo: Opere e giorni



Per una pianta simbolo quale è l'asfodelo, mi è parso giusto iniziare con le parole di un grande poeta vissuto tra il 7° e l'8° secolo avanti Cristo. Un poeta che faceva il contadino come i filosofi e matematici Greci e Latini. Le stesse piante citate da Esiodo vengono elevate a cibo prediletto dai Pitagorici, i matematici della Magna Grecia, che non mangiavano carne, vegetariani antelitteram.
Colui che viene considerato come il primo Botanico, il filosofo greco Tirtamo, più conosciuto come Teofràsto (divino parlatore), elencò nei suoi testi Historia plantarum e De plantarum causis molte piante selvatiche, quelle alla base del famoso "dilemma di Teofràsto". Si chiedeva se fosse giusto piantare negli orti dove erano presenti le piante selezionate dall'uomo piante selvatiche, non selezionate.
Lui si rispose di sì, naturalmente.

Ma l'asfodelo rappresentava per gli antichi Greci il simbolo dei Morti e dividevano il regno dell'Aldilà in Campi Elisi come Paradiso,  il Tartaro come Inferno e i prati di asfodelo come Purgatorio. Assieme ad altre credenze, ciò portava al piantare asfodeli sulle tombe. Nell'Odissea, Omero chiama l'asfodelo la pianta degli Inferi.

"A", non, "SPOD(OS)", cenere, "ELOS",valle sottolineano chiaramente che la pianta è tra le prime a rinascere dopo gli incendi, colonizzando terreni poveri ed aridi poiché gli animali non si cibano di essa. La Famiglia Asphodelus conta più di cento varietà, cito le più comuni.
Asphodelus microcarpus, ramosus, fistolosus, albus, Asphodeline liburnica, Asphodeline lutea, ecc.

Asphodelus microcarpus (gennaio, Corsica)



La pianta si presenta eretta, a seconda delle varietà è alta 60-120 centimetri, le foglie nascono dal suolo, riunite a rosetta, non spuntano dal fusto dove sono presenti i numerosi fiori di colore bianco, giallo in alcune varietà.
Contiene alcaloidi nocivi, si consuma dietro cottura. Le parti impiegate sono le radici ingrossate e gli steli. Anticamente le piante erano usate per lavori di intreccio, in Puglia vengono usate nella preparazione della famosa "burrata", il latticino tipico della zona di Andria.

Asphodelus microcarpus in fiore

In cucina, i tubercoli vengono mangiati lessi, conditi con olio e sale, arrostiti sotto la cenere come le patate.
Gli steli dell'asfodelo giallo, asphodeline lutea, vanno raccolti molto piccoli, affinché rimangano tenerissimi, vengono lessati in acqua ed aceto, messi in piedi nei barattoli di vetro e coperti di olio di oliva, come gli asparagi. Oppure decorticando gli steli e usando la corteccia impanata e fritta mentre gli steli vanno cotti dopo averti sezionati, tagliandoli con tagli a croce longitudinali.

Molti asfodeli sono perenni, ma ci sono varietà annue e biennali. La pianta si moltiplica solo tramite le radici, i semi non sono fertili.

I nomi comuni dell'asfodelo vanno da porraccio, cadrilloni, vruzza, cipuddazzo, avuzz, avrusc, ecc.

lunedì 8 dicembre 2008

Il Papavero

di Claudia M.
 
Sono stata in dubbio se scrivere di una umile e notissima pianticella, ma a volte si tende a dimenticare, a non badare alle più semplici tra le meraviglie che ci circondano, e ho pensato che il Papavero non si merita di essere dimenticato.
I papaveri di Claude Monet

Non mi dilungo quindi nel copiare la descrizione del Papavero o delle sue foglie pennatopartite, perché la possiamo trovare praticamente dappertutto e tutti, almeno quando è in fiore, lo sappiamo riconoscere. Mi limito alla doverosa citazione del suo vero nome, Papaver rhoeas, semplice nome per un semplice fiore. I nomi popolari più diffusi sono Rosolaccio o Ròsole. Ci sono numerose specie di Papavero, selvatico, ornamentale e da oppio, di svariati colori compreso l’azzurro, dalle forme semplici o doppie, che vi invito ad ammirare nelle foto del dott. Giuseppe Mazza

 
Come si evince dal titolo io intendo soffermarmi sul Papavero selvatico, stupendo nella sua semplicità, festoso del suo rosso, generoso nell’abbondante e prolungata fioritura, sensuale nella setosa morbidezza dei petali, effimero nel veloce cadere degli stessi.
I papaveri sono da sempre legati ai Cereali, i Sumeri li consideravano ancelle delle messi. Sono giunti a noi insieme alla granella dei Cereali, forse già quattro o cinquemila anni fa, e sono stati in seguito indissolubilmente legati al grano anche dal culto della dea Cerere.
Cerere di Bruegel

La convivenza è continuata per secoli, finché l’uso dei diserbanti ha confinato la poetica immagine dei campi dorati punteggiati dal blu dei fiordalisi e dal rosso vivo dei papaveri nella nostra memoria. Se dalle vostre parti se ne vedono ancora, fatemelo sapere, ne sarò lietissima.
Citati anche da Ovidio nelle Metamorfosi, dove “fecunda papavera florent” ornavano l’ingresso della dimora del Sonno. I Greci raffiguravano Hypnos, il sonno, Thanatos, la morte e Nyx, la notte, coronati di papaveri.
Tarquinio il Superbo, come ci tramanda Livio, tranciò con un bastone alcuni tra i papaveri più alti per suggerire al figlio, senza usare parole, come impossessarsi di Gabi: abbattere per primi i potenti. Chi lo odiava avrebbe raggiunto il sonno eterno.
Tutti, da bambini, li abbiamo raccolti e ci abbiamo giocato, ne abbiamo schiacciato i petali per ottenerne il succo rosso, aperti i boccioli dalla forma caratteristica per scoprire i petali ancora umidi e stropicciati, abbiamo cercato i numerosissimi semini scuri, facendoli uscire pian piano dai forellini delle capsule, usandoli per pepare le pappe preparate con foglioline e sassi.
Quando è in fiore tutti lo sanno riconoscere, ma anche chi non l’ha mai visto può cercare con successo in primavera le giovani e saporite piante tra l’altra vegetazione, facendo un minimo di attenzione.






Secondo la tradizione sono ottime cucinate in umido, ma anche in qualsiasi modo siamo abituati a consumare la verdura cotta. A renderne il gusto più gradito saranno i ricordi di quando andavo per i campi con la nonna e le mie amichette per raccoglierli, anzi, forse era la nonna a raccoglierli, mentre io giocavo con le amichette… 



Se non li avete mai assaggiati, vi consiglio di provarli, anche se nell’attuale era dei pesticidi preferisco coltivarli piuttosto che raccogliere quelli spontanei. 
Le foglie morbide e pubescenti sono riunite in rosette che possono diventare piuttosto grandi, spesso sulle sponde dei fossi se ne trovano ciuffi rigogliosi. I semi si usano per decorare il pane e per preparare alcuni tipi di confetti. L’olio di semi di papavero si può usare a scopo alimentare ed è forse il migliore per stemperare i colori a olio.



I petali si usano per fare delle tisane rilassanti, calmanti e lenitive della tosse, dell'insonnia, e sono utili ai soggetti nervosi.
Al Papavero si attribuiscono anche strane proprietà “magiche”, sembra che possa addirittura proteggere la casa dai fulmini!
Certo è che ha ispirato moltissimi pittori ed anche musicisti, ricordo De Andrè con “La guerra di Piero” e Rastelli - Panzeri - Mascheroni con “Papaveri e papere”. 

lunedì 1 dicembre 2008

Cicoria Puntarelle

(Cichorium intybus subs. foliosum)
Fam. Composite/Asteracee

di Angelo Passalacqua


Tra le tante varietà di cicoria catalogna mi permetto citare la catalogna pugliese a foglia stretta, la catalogna a foglia larga, la scatona (catalogna di Otranto), la cicoria a cespo di Molfetta, la catalogna a costa rossa, la puntarelle di Maggio, la puntarelle di Molfetta, la puntarelle di Galatina.

Puntarelle di Galatina
Le ultime tre varietà si distinguono per la caratteristica di produrre al centro della pianta delle cime corte e grosse, dette "ciccioli",unite fra loro in una specie di "pigna".
Queste puntarelle vengono mangiate crude, sono tenere e poco amare, in Puglia si ama sgranocchiarle tra le robuste portate dei pranzi delle Feste. Si mangiano anche cotte, lessate semplicemente in acqua e condite solo con un pizzico di sale e olio extra crudo, si utilizzano anche le foglie più tenere oltre ai ciccioli, naturalmente.

La cicoria catalogna è pianta molto adattabile e molto rustica, si ammala molto raramente.Le foto e le descrizioni si riferiscono alla puntarelle di Galatina. La semina va fatta in semenzaio a fine Maggio- inizio Giugno per raccogliere in Novembre-Dicembre. Ciò vale per il mio clima, lo ricordo, in ambienti più favorevoli le semine possono fermarsi a Luglio-Agosto e il raccolto protrarsi a tutta la primavera. Il punto debole è la scarsa resistenza al gelo (resiste fino a +5°), se la pianta gela quando si và a tagliare il grosso germoglio, si notano i ciccioli cotti e l'interno cavo pieno di ghiaccio...

Si può seminare anche a file, lasciando trenta centimetri tra le piante, occorre irrigare perchè la pianta non accetta il secco, utile pacciamare facendo attenzione ai ristagni, possono favorire i rari attacchi dell'oidio.
La raccolta và fatta recidendo la pianta al colletto, come faccio vedere in foto, la pianta ricaccerà dalla base con puntarelle singole.



Oppure estirpate la pianta, di cui utilizzerete anche le foglie. La pianta può arrivare all'altezza di 50/60 centimetri, ma raccogliendo un pò prima sarà più tenera e, quindi, utilizzabile quasi per intero.

La puntarelle di Molfetta differisce da quella di Galatina unicamente per le dimensioni più generose e per essere un pò più coriacea al palato, ma questa è solo la mia opinione personale, non prendetela come dato certo... E ciò vale se la pianta ha molto nutrimento a disposizione.

La puntarelle di Maggio, invece, vede i germogli nascere dalla base in forma singola, vanno recise al colletto altrimenti ricacciano dove le tagliate, la raccolta continua per molti mesi.
Se volete conservare i semi di catalogna, lasciate in loco qualche pianta, dato che è pianta biennale, ma fate molta attenzione alla presenza di cicoria selvatica nelle vicinanze, sarebbe utile isolare le piante con accuratezza,  per evitare sorprese.

Aggiornamento: puntarelle rosse




Una aggiunta che sarà gradita da chi apprezza gli ortaggi "insoliti". Se la cicoria selvatica presenta piante molte diverse tra loro e non è difficile trovare piante rosse, infatti si possono acquistare bustine di cicoria rossa italiana, frutto di selezione di cichorium intybus ad opera di ditte sementiere. Io ho avuto la sorpresa di trovare piante di cicoria rossa però di catalogna puntarelle...
Per me è una novità, sarò grato a chi eventualmente ne sapesse qualcosa in più, per esperienza diretta o indiretta.
Inutile dirvi che sto "curando" un paio di queste puntarelle, vi farò sapere...



mercoledì 26 novembre 2008

Cece Nero di Cassano Murge

di Angelo Passalacqua

Questa caratteristica varietà di cece è originaria di Cassano delle Murge, in provincia di Bari. Sull'onda del successo per la riscoperta di "antichi semi locali", la coltivazione è tornata nei campi di Cassano, Acquaviva (quella dell'omonima cipolla) e Santeramo, comuni limitrofi. Naturalmente non viene più coltivato a mano ma con semina e raccolta meccanica, eccettuati pochi contadini che seminano i ceci tra i filari di mandorli ed olivi, per sfruttare la proprietà concimante delle leguminose.

Questo cece è una varietà molto resistente alla avversità, non viene mai irrigato, non teme il freddo e la siccità. Viene seminato a fine Ottobre e la raccolta viene fatta a Luglio. Non abbisogna di cure, eccetto una sarchiatura-rincalzatura delle giovani piante, il portamento è cespuglioso, i fiori di un bel rosso-viola. Il cece ha una sottile buccia nera, all'interno è di color bianco-giallo.

Cece nero di Cassano Murge, varietà commerciale

Il consumo del cece nero era legato ad un'antica tradizione locale, rimasta in vita fino all'inizio degli anni Sessanta. Data la penuria di proteine animali nella dieta quotidiana, (la carne era merce rara...) si sopperiva con le immancabili fave secche, i fagioli, i ceci bianchi, i ceci neri.
Alla nascita di ogni bambino era consuetudine avvisare il parroco, portandogli in dono una gallina. Per tirare su la mamma dalle fatiche del parto ed il successivo allattamento, le preparavano il brodo di ceci neri, il liquido di cottura nero come petrolio e di consistenza gelatinosa ma molto nutriente.
Col boom economico degli anni Sessanta, l'abbandono delle terre degli agricoltori per le industrie ma sopratutto con la constatazione che fosse più giusto che la gallina la mangiasse la puerpera (con comprensibile dispiacere del prete...), il cece nero ha rischiato di estinguersi, evento scongiurato da pochi contadini testardi.
Da uno di questi ho ricevuto il cece nero che vedete in foto, di dimensioni più grandi.

La varietà in mio possesso
Non lo trovate in vendita, a differenza di quello "piccolo", facilmente reperibile.

venerdì 21 novembre 2008

Recupero prodotti dell'orto

di Claudia M.

Capita di raccogliere verdure oltre il perfetto stato di maturazione, ma con alcuni accorgimenti si possono recuperare con stile e soddisfazione.
Con questo non intendo suggerire di usare prodotti avariati, ma in uno stadio di maturazione avanzato rispetto al periodo di raccolta ottimale.

Ad esempio le zucchine: a volte sono difficili da vedere, nascoste come sono tra il fogliame rigoglioso, a volte un’assenza anche di pochi giorni ce ne fa trovare alcune che hanno raggiunto dimensioni inquietanti.
Per cucinare zucchine di tali dimensioni sarà spesso necessario sbucciarle. La buccia può diventare molto coriacea in certe varietà.
La mia vicina le fa a fette rotonde, le mette sotto sale per ammorbidirle e far perdere loro l’acqua poi le fa impanate e fritte,io preferisco soluzioni meno ricche di colesterolo.

La falsa parmigiana di zucchine.

Viene meglio con zucchine grandi perché permettono di fare fette belle grosse e l‘uso del forno a microonde velocizza il procedimento ma non è indispensabile.
Tagliare le zucchine a fette il più grandi possibili ma che entrino nella vostra padella, alte circa un centimetro ovviamente eliminando i semi.
Salare le fette e metterle nel forno a microonde un po’ per volta, per farle appassire e perdere il liquido di vegetazione, oppure scottarle in acqua salata. Trasferirle in una padella leggermente unta di olio, a fuoco basso. Più che cuocere devono proprio asciugare, più sono asciutte e più vengono bene. Consiglio l’uso contemporaneo di più padelle.
Complicato, ma cuociono a fuoco molto basso, non è necessario restare lì a sorvegliarle.
Quando saranno asciutte, sistemare in un recipiente adatto le zucchine a strati alternati con salsa di pomodoro preparata con gli aromi di proprio gusto un formaggio adatto ad essere cotto in forno, in genere ci andrebbe il parmigiano. Mettere in forno o nel microonde e completare la cottura. Molto buone mangiate tiepide.
Versione semplificata. Tagliare le zucchine a cubetti e fare perdere l’acqua con il sistema preferito, in genere cospargerle di sale e metterle in padella o forno a microonde poi eliminare il liquido salato che si forma. Farle asciugare in padella, poi aggiungere il pomodoro, cospargere di formaggio ed eventualmente far gratinare.
Ci si può aggiungere della pasta lasciata a metà cottura e poi fare gratinare, in questo caso le zucchine possono essere anche meno asciutte perché la pasta per completare la cottura necessita di assorbire acqua. Uguale alla ricetta precedente, di presentazione forse meno raffinata ma più veloce e pratica.

Zucchine sott’olio.
Tagliare la mega zucchina a fette molto sottili e disporle su dei teli puliti senza premerle sulla stoffa sennò si incollano. Metterle al riparo dalla polvere in luogo ventilato e farle asciugare un paio di giorni, girandole ogni tanto. Riempire dei vasetti premendo bene le zucchine e mettendo ogni tanto qualche aroma di proprio gusto, scelto tra alloro, pepe, chiodi di garofano, cannella, peperoncino… ho visto aggiungere praticamente di tutto, a queste zucchine. Aggiungere una mistura di aceto con del sale e un pizzico di zucchero sciolto dentro e olio, fare scendere bene il liquido tra le fettine di zucchina e fare sterilizzare i barattoli.

Arriviamo alla mia ricetta preferita:
Torta dolce di zucchine

Prendete la vostra ricetta preferita per la torta di mele. Preparate lo zucchero necessario e calcolate un 20-30% in più che lascerete a parte.
Tagliare le zucchine a cubi di un paio di cm di lato, ovviamente senza semi, e metterli in una padella larga con lo zucchero che in origine era necessario per la torta. Appena inizieranno a buttare acqua, alzare il fuoco, mescolare con gran delicatezza per non spappolarle, aggiungere un po’ di succo e di parte gialla di buccia di limone a striscioline e farle asciugare bene. Aggiungere un paio di manciate di uvette NON ammollate, contribuiranno ad asciugare le zucchine. Preparare l’impasto per la torta utilizzando  lo zucchero lasciato da parte, aggiungere le zucchine mescolando delicatamente e mettere l’impasto in uno stampo per ciambella. È importante usare uno stampo per ciambelle, perché l’impasto resta abbastanza umido e se cotto in una tortiera normale potrebbe restare troppo umido al centro.
Cuocere come d’abitudine, avendo l’accortezza di controllare la cottura con uno stuzzicadenti. Chi l’ha assaggiata non se ne è lamentato.

lunedì 17 novembre 2008

Patata Vitelotte

di Angelo Passalacqua

Ci sono ortaggi e tuberi che non vengono coltivati in larga misura per vari motivi, dalla scarsa resa e relativo scarso guadagno per il produttore o dal rifiuto del compratore, che guarda con sospetto piante dall'aspetto poco ortodosso. Queste varietà sopravvivono grazie alla coltivazione negli orti familiari e, per le più fortunate, magari vengono "adottate" da una località che la marchia come tipica. Esempi concreti, la melanzana rossa di Rotonda (Pz), la cipolla egiziana, la patata blù Vitelotte e così via.


Questa patata è ricca di antocianina, che dimostra la sua presenza colorando di blù-viola la buccia e la polpa ma anche i fiori e,con venature, anche la pianta. Viene dal Sudamerica, come tutte le patate e viene coltivata in Francia, dove non è difficile trovarla in vendita col nome di pomme de terre negresse.


La pianta è una varietà antica, si può definirla primordiale, semiselvatica, le sue qualità sono nella resistenza alle malattie ed alla siccità. Per contro, i tuberi sono abbastanza piccoli, di varia forma, scarsa produttività. La polpa è farinosa, si presta bene per un purè dal colore sorprendente.

Piante di Vitelotte

Fiori di Vitelotte

Link:

In cucina:
Dopo averle lessate e sbucciate, puoi prepararle come preferisci. Oltre che in puré uso molto mangiarle in insalata oppure così:


Le patate vanno immerse in acqua fredda e portata ad ebollizione, senza salare.


Affettate le patate lessate e sbucciate assieme ad abbondante cipolla dolce, qui è la Rossa di Acquaviva, condite con un pizzico di sale e olio extravergine.

Oppure fate appassire in pentola nell'olio la cipolla affettata, aggiungete le patate facendo cuocere pochi minuti.


Anche la cipolla diventerà blu...


Una vera bontà da provare!

Aggiornamento:

L'annata 2011 è stata molto favorevole, per tutte le varietà patate sane, grosse e...tante! Di Vitelotte, poco più di un quintale


Giusto per sfatare alcuni luoghi comuni, le vitelotte che vedete pesano da quasi due etti (quella in primo piano,180 gr) all'etto e mezzo! E sono gli stessi tuberi che risemino da quasi 20 anni, con buona pace di chi afferma che le patate, prima o poi, degenerano...


Qui invece vediamo una pianta-tipo con relativo raccolto, il mio dito indica la patata-seme, pesante pochi grammi. Anche l'accusa di scarsa produttività va a farsi benedire!

Aggiornamento del 1 Gennaio 2013
Potete leggere in questo link tutti i vecchi commenti presenti su Splinder. Grazie alla amica padrona di casa:

http://betullablu.blogspot.it/2011/09/la-patata-blu.html 

 

giovedì 13 novembre 2008

Il Caccialepre

Reichardia picroides (L.) Roth
Reichardia picroides subs. maritima (Boiss.)
                     Famiglia Asteracee/Composite

 di Angelo Passalacqua
Reichardia deriva dal nome del botanico-medico tedesco che la studiò e la descrisse, J. J. Reichard. Si tratta di una pianta comune, perenne, ama i terreni sassosi, aridi e calcarei. La radice legnosa si insinua tra le rocce, la parte aerea è alta 25/30 centimetri, i fiori sono di colore giallo come è usuale per la famiglia botanica delle Composite. I semi sono piccoli, neri, con una peluria che favorisce la disseminazione ad opera del vento. Il ciclo colurale è molto lungo, escludendo i mesi più freddi, la pianta è presente tutto l'anno, e fiorisce in pratica per l'intero periodo. Il colore delle foglie è inconfondibile.

Il caccialepre nel suo habitat

I nomi dialettali sono moltissimi, tra i tanti cito caccialepre, latticello, terracrepolo, grattalingua. Caccialepre, il più usato, viene dall'ambiente dei cacciatori, che si appostavano nelle zone in cui la massiccia presenza di piante di reichardia faceva da richiamo per le lepri, che ne vanno ghiotte.
Da notare che in vari dialetti  caccialepre è il nome della chondrilla juncea, pianta commestibile anch'essa. Nel mio dialetto la reichardia è il "caccialebbr", "caccialepre" mentre la chondrilla è la "grattarol", "grattarola". Noterete che il "pasticcio linguistico" continua, tra grattarola e grattalingua...

La sottospecie maritima del caccialepre cresce nelle zone costiere, non ne parlo per ovvi motivi...

Steli fiorali di caccialepre

Semi di caccialepre

E' la più buona tra le erbe da gustare cruda, in insalata. Cotta, da sola o assieme ad altre erbe, in minestre o zuppe molto saporite.

sabato 8 novembre 2008

Raccolta e frangitura delle olive

di Paolo Basso


Non è proprio attinente all'orto, ma credo possa interessare a chi ha qualche pianta d'ulivo o pensa di piantarne.

Anticamente le olive si raccoglievano a terra a mano, poi si sono messe le reti per facilitare la raccolta, che era però fatta sempre portando le olive a maturazione  avanzata per avere la massima resa d'olio.

Però già dal tempo dei romani si sapeva che l'olio migliore (onfacino) era quello delle olive appena invaiate, cioè quando il colore verde inizia a diventare viola, produrre meno per produrre meglio.

Una "quarta" di olive, la misura tradizionale ligure che corrisponde a 12,5 kg., la quarta parte di un sacco da 50 kg.


Io ho parecchie piante e raccolgo solo per farmi una buona scorta per me e per gli amici, quindi ho una particolare tecnica di raccolta: dopo aver messo delle reti calpestabili attorno alla pianta, faccio una potatura abbastanza forte, anche perchè i rami più carichi di olive difficilmente l'anno successivo lo saranno.

Tolte le olive dai rami tagliati (che poi le caprette biodegraderanno...) con dei rastrelli a mano, si bacchiano le olive rimaste sulla pianta ma senza insistere troppo, tanto la maggioranza è già a terra e qualche frutto agli storni si può anche lasciare.

La pianta così potata il prossimo anno rifarà nuovi rami che produrranno di nuovo abbondantemente la stagione successiva. Il prossimo anno, se non ci saranno problemi con la mosca (io non faccio il minimo trattamento nè concimo, ci pensano le caprette) raccoglierò su altre piante, così al giro raccolgo e poto su tutte.

Le olive raccolte, pulite con la "chitarra", un piano inclinato su cui le olive rotolano e le foglie cadono dalle fessure, le metto poi in cestoni di plastica impilabili ben fessurati, per portarle il più presto possibile al frantoio per non perdere in qualità.

Ed ecco come funziona un frantoio a ciclo continuo, con estrazione a freddo per non compromettere le caratteristiche organolettiche dell'olio d'oliva. 

Le mole e lo scarico della pasta verso la gramola

Le olive vengono caricate nella vasca sotto le mole che ruotano lentamente per frangere le olive senza emulsionare la pasta che si forma, per almeno una ventina di minuti.

La gramola e la pompa che invia la pasta verso la centrifuga

Al termine la pasta viene scaricata nella gramola sottostante, una sorta di impastatrice che con movimenti lenti la rimescola favorendo la separazione dell'olio. La temperatura della pasta è di circa 30°, calore dovuto esclusivamente alla macinatura. Dalla gramola, tramite una pompa, la pasta miscelata ad acqua per renderla più fluida viene inviata ad un separatore centrifugo ad asse orizzontale.

Il separatore centrifugo

Il separatore centrifugo, ruotando ad alta velocità, separa l'olio e l'acqua dal residuo, chiamato sansa, costituito dai frammenti dei noccioli e della polpa dell'oliva. La sansa viene direttamente convogliata all'esterno, contiene una piccola parte di olio che può essere estratto con solventi in appositi stabilimenti (il cosidetto olio di sansa), procedimento che ormai risulta antieconimico rispetto ai bassi costi dell'olio importato da paesi extracomunitari e quindi si preferisce spargerlo come concime sui terreni. 
Ed ecco il mio olio!

Dal separatore centrifugo escono separatamente l'acqua e l'olio, che vengono inviati ad un altro separatore centrifugo, ad asse verticale, che recupera la minima parte di olio presente nell'acqua e raffina ulteriormente l'olio che può così essere direttamente raccolto in un recipiente per il trasporto. Si arriva al frantoio con il mezzo carico di sacchi di olive e si riparte con due o tre taniche di olio sicuramente genuino...


In alcuni frantoi si usa invece ancora la pressa, dove la pasta macinata e passata nella gramola viene messa in una pila di dischi metallici e di feltri di nailon detti sportini (una volta erano di fibra di cocco).



L'acqua e l'olio che colano vengono poi separate come nel caso precedente in una centrifuga verticale.

Ho pensato bene di aggiungere al post una foto di uno dei miei vecchi ulivi, è una Colombara, una vecchia varietà ligure ottima per la resistenza alla siccità e alla mosca, oltre che per resa e qualità dell'olio:


Da questa che molti anni fa' era una pianta singola, ho raccolto in questi giorni 6 quarte di olive (75 kg) che mi daranno oltre 13 kg d'olio.



E questa invece è la mia squadra che tiene pulito e concimato l'uliveto, eliminando anche i residui di potatura

domenica 2 novembre 2008

Il Lampascione

CIPOLLACCIO COL FIOCCO
(Leopoldia comosa, Muscari racemosum, Muscari comosum)

 di Angelo Passalacqua


Questa piccola cipolla selvatica viene chiamata, a seconda della zona, pampasciuni, bambascione, lambascione, lampascione. Tutte queste denominazioni dialettali fanno capo alla definizione data al bulbo dal medico greco Oribasio. Tradotta poi in tardo latino come lampadio, lampadionis ossia lampada. Nel primo secolo dopo Cristo, il più conosciuto medico greco Galeno dice di apprezzare questa delizia, giudizio poi ripetuto da Plinio e da Telesforo. Gradevolmente amarognola, ha proprietà emollienti e lassative.
Fiore di Lampascione, da Caprettetibetane.splinder.com

 

Il lampascione più pregiato è il muscari racemosum o leopoldia comosa (lampascione rosso), bulbo piccolo di colore rosso-viola, cresce spontaneo in ampie zone della Murgia. Il muscari comosum, ampiamente coltivato e venduto, ha il bulbo più grosso di color rosso-rosa chiaro e qualità e pregi inferiori. 

Per completezza di informazione, cito un'altra varietà di cipollaccio che viene occasionalmente raccolta e consumata, nonostante la qualità decisamente scadente, hyacinthus ciliatus, il giacinto ciliato, colore bianco e sapore dolciastro.
 
La descrizione botanica si riferisce al leopoldia. 
La pianta cresce nei campi e negli incolti, il fusto arriva ai 50 cm di altezza, il bulbo può trovarsi a notevole profondità, 40 e più centimetri. La caratteristica infiorescenza presenta fiori fertili nella parte inferiore di color bruno chiaro mentre i fiori color blu elettrico sono nella parte superiore e nel ciuffo in cima, danno semi sterili. Per la coltivazione, si usa interrare i bulbi e lasciarli andare a seme oppure la semina.
Lampascione (Leopoldia comosa)
Semi (Leopoldia comosa)

 
Due modi di dire dialettali tipici della Puglia:  una persona petulante e fastidiosa "rompe i bambascioni"... e la si manda a... "cavare i lampascioni!"
 
Per l'impiego culinario, si va dai lampascioni in insalata, lampascioni fritti in pastella, lampascioni ed agnello al forno, lampascioni alla Purgatorio. A richiesta, in seguito posso fornire le ricette.

venerdì 31 ottobre 2008

Cipolla Rossa di Acquaviva

di Angelo Passalacqua




Questa cipolla è Presidio Slow Food, prende il nome dalla cittadina di Acquaviva delle Fonti, provincia di Bari, caratterizzata da terreni fertilissimi e ricchi di umidità. Il nome ha origine dalle numerosissime sorgenti presenti sul territorio. Questa cipolla dal sapore dolcissimo ha una tipica forma appiattita, il colore vira dal rosso al viola all'esterno, l'interno è bianchissimo. 
Viene consumata cruda, in insalata, condita al massimo con olio extravergine o cotta nei tradizionali tegami in terracotta, in forno a legna. La semina va fatta ad Agosto-Settembre, trapianto in Novembre, raccolto da Agosto. Non è varietà da serbo, le piante non destinate alla produzione di semi vengono consumate in primavera, localmente chiamate "cipolle porraie". 


La cipolla arriva con facilità al chilo di peso, quelle in foto sono le mie, che in terreno diverso da quello ottimale, il cui peso si ferma ai 700 grammi e 13 centimetri di diametro. I semi non si trovano in vendita.





mercoledì 29 ottobre 2008

Aglio Elefante

di Angelo Passalacqua


Non intendo parlare nè di modo coltivativo dell'aglio, nè delle virtù farmacologiche e culinarie. Sono certo si trovino in abbondanza scritti al riguardo. Le immagini vi mostrano le varietà che coltivo. La Famiglia delle Liliacee comprende molte specie, i vari allium (aglio, porro, cipolle) ma anche il giglio (da lilium, che dà nome alla Famiglia) e l'asfodelo...

L'aglio Elefante, l'inglese Elephant Garlic, in botanica è classificato come un porro che si comporta da aglio, con produzione di bulbilli separati di grandi dimensioni. Molto vicino ad esso si pone l'aglio gigante, la mutazione spontanea dell'allium ampeloprasum, il porraccio. Per esperienza diretta, posso dire che l'aglio Elefante ha odore e sapore tipico... da aglio!




In alto, Elefante. Sotto, da sinistra rosso Sulmona, rosa francese, bianco comune.

L'aglio bianco è quello comunemente coltivato nella mia zona, quello rosa viene dalla Francia, quello rosso è l'aglio di Sulmona, gradito dono di Elvira, che ringrazio. Tornando all'aglio Elefante, le dimensioni generose potete vederle tutti, per ogni bulbillo il peso medio è di 60 grammi, come quelli in foto.



Da sinistra, aglio rosso di Sulmona, aglio rosa francese, aglio bianco comune.



Per finire, allium ampeloprasum