martedì 22 novembre 2011

Fava da orto

La coltivazione ortiva della fava (Vicia faba)
di Paolo Basso


Nei climi miti o non troppo freddi coltivare le fave ha un duplice scopo, avere fave da consumare fresche in primavera o conservare secche per l'inverno, ma soprattutto migliorare il terreno e tenerlo sgombro da erbacce per le colture estive di pomodori, melanzane, peperoni e quant'altro.
La fava, ma sopratutto il favino, una varietà di fava a frutto piccolo, possono essere utilizzati come ottimo sovescio o granella per animali, ma questo esula un po' dal nostro argomento, la coltivazione ortiva.
Le fave non richiedono molta cura se non una buona rincalzatura specie in zone ventose o soggette a giornate fredde. E' particolarmente utile coltivare le fave in terreni mai utilizzati, argillosi, quasi privi di humus per prepararli all'utilizzo ortivo. Le radici delle fave apportano notevole materiale organico nel terreno e con i batteri radicali lasciano un discreto quantitativo di azoto disponibile per le colture successive (0,4 – 0,5 kg/100 mq) Dopo la raccolta dei baccelli gli steli possono essere triturati (basta un piccolo biotrituratore) e vangati nel terreno per un ulteriore apporto di sostanza organica. In alternativa possono finire nel cumulo del compost dove si degradano rapidamente.
Per la piantagione conviene fare una vangatura abbastanza profonda, per eliminare eventuali radici di infestanti, io utilizzo un robusto forcone a 4 denti molto comodo in terreni un po' sassosi; conviene capovolgere la zolla e sminuzzare grossolanamente per conservare la granulosità del terreno. Dopo una rastrellata per asportare eventuali sassi e spianare, si tracciano solchi abbastanza profondi ponendo i semi a 20 cm di distanza tra loro, che verranno poi coperti da alcuni cm di terra fatta franare dai bordi del solco. Nel caso di un terreno da bonificare i semi possono essere più vicini, anche 15 cm. per aumentare il materiale organico che resterà per la coltura successiva. I solchi profondi sono anche utili per trattenere meglio l'acqua piovana e l'umidità ai semi. La distanza ottimale tra i solchi è di 40 cm. Le fave non necessitano di concimazione se seminate in terreno vergine o successive a colture estive già concimate, ma disponendo di concime organico può essere inglobato nel terreno con la vangatura o sparso in copertura negli interfilari dopo la rincalzatura, questo soprattutto a favore delle colture che seguiranno.
Con temperature minime sui 15°, dopo due settimane le piantine usciranno dal terreno, con temperature inferiori i tempi si allungano un po'; in caso di terreno argilloso e crosta superficiale conviene una leggera sarchiature ai lati delle piante, utile anche per eliminare eventuali infestanti anch'esse appena germogliate.
Le infestanti cresciute sul colmo dei solchi verranno invece eliminate con il rincalzo delle piante che avverrà non appena queste saranno alte almeno una ventina di cm. Le piante così rincalzate potranno resistere meglio al vento ed al freddo; nel caso di eventuali geli che dovessero provocare la lessatura delle foglie, le piante potranno rivegetare dalla base. In condizioni normali da un singolo seme si formano due o tre steli che porteranno i fiori.
Le prime semine io le faccio in ottobre, poi altre a distanza di un mese, per avere un raccolto prolungato nel tempo. Se il clima lo permette è possibile una terza semina, a dicembre. Ovviamente, nel caso di climi freddi dove il terreno può gelare, le semine vanno fatte a primavera, non appena il terreno lo consente. In ogni caso le fave sono dei legumi resistenti al freddo, è bene utilizzare questa caratteristica proprio per tenere pulito e concimato l'orto in previsione delle colture estive. Frequentemente durante l'inverno, appena effettuata la raccolta di cavoli e broccoli, semino al loro posto delle fave che se la stagione lo permette posso raccogliere prima del trapianto delle piantine di pomodoro. Se per motivi climatici queste fave non saranno da raccogliere in tempo, sono pur sempre un ottimo sovescio.
Nei mesi freddi non ci sono problemi di afidi, col caldo è facile che le fave siano infestate di afidi neri. Poiché di solito il problema riguarda la parte apicale della pianta, il sistema migliore è quello di spuntare le piante quando la fioritura è avanzata ed iniziano a vedersi le prime piccole fave.
Se non si usano veleni si vedranno ben presto arrivare le coccinelle, grandi predatrici di afidi; anche alcuni uccellini insettivori come le cince e capinere possono aiutarci a contenere le infestazioni.
Io preferisco non cimare le piante e lasciarle infestare dagli afidi, tanto la produzione di fave non è compromessa più di tanto, mentre invece si moltiplicano le coccinelle, che quando tolgo le fave si spostano sulle altre colture da orto successive, specialmente sui fagiolini.
Nel caso si cimassero le fave, ecco una ricetta per utilizzarne le cime tenere: si cuociono al vapore o con pochissima acqua, si condiscono con ottimo olio di oliva in cui sia stato messo a macerare per 24 ore dell'origano. Questa è la ricetta spagnola, io ci aggiungo anche qualche goccia di limone.
Le fave per il consumo fresco vanno raccolte appena si formano i baccelli ed i grani sono grossi come dei fagioli, mangiate con salame, pecorino o semplicemente con un po' di sale.
Quando sono più grosse sono ottime lesse e condite con olio e.v. e qualche goccia di aceto balsamico, magari assieme a patate lesse. Io le conservo in freezer già sgranate, per lessarle quando serve un ottimo contorno.
Infine secche, per farle rinvenire in acqua tiepida come ceci e fagioli.
Le fave non hanno generalmente problemi di parassiti vegetali, possono esserci attacchi di antracnosi ai baccelli, con tacche necrotiche nerastre su baccelli e semi, oppure di ruggine su foglie e steli, ma generalmente non provocano danni rilevanti. Un'altro parassita vegetale è l'orobanche, che vive parassitando le radici delle leguminose.
Parassiti animali sono appunto gli afidi neri che nelle colture invernali possono essere controllati facilmente cimando la pianta ed il tonchio, i cui adulti depongono le uova nei baccelli giovani; le larve scavano i semi da cui usciranno gli adulti lasciando un foro perfettamente rotondo nel tegumento.
Pur essendo i fiori delle fave teoricamente autofecondanti, in pratica si avvantaggiano molto dell'impollinazione incrociata, fave coltivate in serra senza che possano entrare insetti impollinatori allegano ben pochi frutti, mentre le fave coltivate all'aperto nelle giornate di sole sono praticamente invase da bombi ed api, con conseguente buona allegagione.
Per questo motivo per ottenere una buona purezza del seme è opportuno adottare qualche precauzione: coltivare ben poche varietà diverse e nel caso distanziarle tra loro il più possibile, poi utilizzare per semenza solo i baccelli delle piante centrali e scartare in questa scelta piante diverse dalla varietà coltivata perché frutto di impollinazione incrociata negli anni precedenti.
A questo proposito occorre ricordare che nel caso di impollinazione con altre varietà, i frutti saranno sempre quelli della varietà “madre” mentre invece i semi porteranno un patrimonio genetico diverso che l'anno successivo darà frutti diversi.
Per la conservazione del seme, ben essiccato all'ombra, convengono sacchetti di carta o scatole di cartone ben sigillate. Occorre controllare periodicamente i semi per prevenire attacchi di tonchio, nel caso di rischio di forti infestazioni le sementi possono essere conservate in freezer.

Fiori di fava

un'ospite gradita in una coltivazione biologica




Ho provato a conservare in freezer una parte delle fave da seme, ben seccate e conservate in un sacchetto di carta, a sua volta in un sacchetto di polietilene ben sigillato. Le ho tenute li per 5 mesi.Le fave così trattate, seminate per confronto in solchi alternati con semenza tradizionale, hanno germogliato bene e nello stesso tempo. Col freezer, anche per brevi periodi, si ha la certezza di eliminare eventuali larve di tonchio.


Anno 2011

Ho seminato le fave gli ultimi giorni di ottobre, dopo una bella pioggia che ha reso lavorabile il terreno.Dopo un mese dalla semina, con le piante già abbastanza cresciute, ho fatto una sarchiatura ed una leggera rincalzatura, eliminando sul nascere le infestanti.

Foto del 30 novembre 2011

lunedì 21 novembre 2011

Traslocco

Per la chiusura di Splinder ci siamo trasferiti qua, pian piano trasferiremo anche i vecchi post.

lunedì 14 novembre 2011

Carota Pastinocello

IL PASTINOCELLO

di Angelo Passalacqua


Una carota molto diversa dalle altre, originaria dell'Appennino, un richiamo irresistibile per me che gradisco molto poco le "arancioni"!  Mi sono procurato i semi ed ho iniziato la coltivazione, le caratteristiche di questa carota descritte dalla Banca del Germoplasma della Toscana lasciavano intuire che si sarebbe ben adattata ai miei terreni

Il "Pastinocello" richiede terreni ricchi di scheletro ed addirittura rocciosi perché risultano maggiormente drenanti e favoriscono l'ingrossamento della radice, mentre in terreni di medio impasto, la radice si allunga eccessivamente rimanendo esile; il terreno deve essere a reazione sub-acida.

http://germoplasma.arsia.toscana.it/Germo/modules/MESI_Menu/Elemento.php?ID=133



Impossibilitato a farlo prima, ho seminato a fine Giugno, pochi semi giusto per vedere il risultato senza attendere la nuova annata agraria. Il terreno è "al naturale", non ho concimato proprio per testare la varietà. La pianta è arrivata al massimo ai 40 centimetri in altezza, ho innaffiato ogni 4 giorni circa


Il risultato è stato più che buono, seminando a Marzo (come farò nel 2012) di sicuro andrà ancora meglio!


Polpa gialla molto compatta e poco succosa, il sapore è eccezionale, ricorda molto la nocciola. Il "cuore" non è duro da masticare, non si sente per nulla.


http://www.terraditoscana.com/default.aspx?lpg=cucina_prodotti&obj=verdura_pastinocello





domenica 6 novembre 2011

Ipomoea batata

Ipomoea batata
di Claudia M.



Come spesso accade alle piante molto amate, anche la patata dolce ha tantissimi nomi: patata americana è il più diffuso. A primo avviso non sembra molto logico, perché sono state portate in Europa direttamente da Colombo, prima delle più comuni patate, che sono anch'esse originarie dell'America. Penso perché le altre patate, dopo un’accoglienza non proprio favorevole, sono alla fine  diventate “nostre”, mentre la batata si è diffusa più quietamente ma senza arrivare a fare davvero parte delle nostre abitudini alimentari tradizionali, tranne in poche zone d’Italia, dove si coltiva fin dall’ottocento.Altri nomi sono patata dolce, Camote o Convolvolus batata.



È infatti una convolvulacea, non una solanacea come le patate, ma il nome comune di patata si dà a quasi ogni cosa che cresce sottoterra, da noi anche i bulbi da fiore vengono familiarmente chiamati “patate”.

Le principali zone di produzione sono attualmente l’Asia e le zone tropicali.

Se ne usano principalmente i tuberi, dolci e ricchi di amido, consumati direttamente o utilizzati per la produzione di fecola e di alcool o anche come mangimi per animali. Si utilizzano anche le foglie, sia per l'alimentazione umana che animale, ma non posso pronunciarmi riguardo la loro bontà, non avendole mai assaggiate.

Ci sono varietà solo commestibili, solo decorative, per la forma e il colore delle foglie, ed altre sono sia decorative che commestibili.

Queste ultime si trovavano in commercio quando io ero piccola. Messe in acqua formavano la bella cascata di foglioline che durava alcuni mesi e a volte arrivavano a fiorire, anche se tenuta in casa in inverno raramente riusciva ad avere luce a sufficienza per uno sviluppo ideale.

Poi il tubero si esauriva o marciva, la coltivazione in acqua non porta alla produzione di nuovi tuberi. Ricordo all'epoca di avere chiesto più volte di provare a piantarla anche in terra, ma non fui accontentata.

Sicuramente queste varietà esistono ancora, ma trovarle in commercio dalle mie parti pare impossibile.

Ho notato che spesso le batate non germogliano nemmeno più, sono probabilmente trattate per evitarlo. Scelgo quindi quelle in vendita nei negozi etnici, che in genere germogliano più facilmente.


I fiori sono le classiche “campanelle” delle convolvulacee, più o meno decorativi secondo le specie. Si riproduce interrando i tuberi, anche solo una porzione di essi, oppure tramite talea o seme. Il tipo coltivato quest'anno non ha fatto fiori.

I fusti sono striscianti o rampicanti, ma non si attorcigliano a spirale come fanno i comuni convolvoli.

Abitualmente trovo in commercio solo la varietà a polpa arancione rosato. Il colore è bello e risalta nel piatto, ma il gusto non mi sembra speciale.

In un negozio di prodotti orientali ho trovato quelle con buccia color ciclamino e polpa bianca, e le considero molto migliori, soprattutto se gustate appena raccolte.

Quest'anno le ho coltivate con grande soddisfazione in vaso, partendo da una piccola porzione di tubero fatto prima germogliare avvolto in un panno umido. Ormai lo sapete che sono panno-umido dipendente!

In questo modo ho individuato la zona dove c’erano i germogli. Ho tagliato il pezzo, l’ho poi messo in acqua come per la tradizionale idrocoltura ornamentale e alla fine ho trasferito il tutto in vaso.

Ecco le tappe:

Il 5 marzo


Il 2 aprile


28 aprile



Trovo comodissima la coltivazione in vaso dei tuberi: in questo modo si facilita la raccolta: mi è stato  sufficiente capovolgere il vaso ed estrarre i tuberi dalla terra e dall'ammasso delle sottili radici. L'unico inconveniente è che i tuberi, quando raggiungono le pareti del vaso, si piegano oppure crescono con un lato piatto. Se questo non vi disturba, e se non avete necessità di grandi raccolti il vaso è l'ideale.





Gli anni precedenti non sono stata così fortunata. Il primo anno i tuberi, quelli che citavo prima, a polpa arancione rosata, li ho raccolti completamente scavati dagli insetti. Il gusto non era un granché,  nemmeno nei tuberi acquistati. Li avevo piantati solo perché io pianto tutto, ma la raccolta è stata disastrosa: solo una testarda come me ci avrebbe riprovato.Ho fatto bene: l'anno seguente piantando i tuberi dalla buccia rossa è andata meglio. Purtroppo avevo posto solo accanto ad altre piante e i tuberi si sono formati tra le radici di queste.La coltivazione in vaso è proprio quella che fa per me. La produzione di un singolo vaso è stata di 800 grammi.In agosto ho interrato in piena terra, stavolta in un'aiuola ben libera da altre radici, dove avevamo appena raccolto l'aglio, una talea radicata. Non la raccoglierò finché non ne avrò bisogno, perché le foglie sono ancora belle verdi, ma ho scostato la terra e ho visto che ha prodotto diversi tuberi, quindi da aggiungere agli 800 grammi raccolti finora. Direi che considerando l'esiguo peso della punta di tubero piantato in primavera, la resa è in proporzione altissima.




Ho cucinato i tuberi più grandi, due volte in minestra e una volta semplicemente lessati. Inventerò poi  qualche altra ricetta. I più piccoli li ho piantati, tenendo il vaso al riparo. Ho visto l'anno scorso che non è possibile conservarli fuori terra fino alla primavera, né all'asciutto né coltivandoli in idrocoltura, così quest'anno ho provato a piantarli. Ho messo anche delle talee in acqua a radicare.Le ricetteCome dicevo ho fatto due minestre.La prima più semplice, con cavolo nero, batata e bietoline. Ho preparato un soffritto, cosa che faccio molto raramente, con scalogno. Ci ho buttato le verdure crude, pulite, lavate e tagliate a pezzetti, ancora umide. Ho aggiunto del brodo e farina di ceci. A cottura ho frullato il tutto con il frullatore a immersione, ma non è indispensabile.La seconda minestra, che ho chiamato Passato d'autunno, è simile ma più complessa.Ho raccolto: foglie di cavolo nero, qualche foglia di verza, una batata, tetragonia, borragine, melissa, un pomodoro ritardatario e foglie di carciofo. Sìììì! Il carciofo che sembrava definitivamente defunto sta rispuntando.Lavate e mondate, le ho messe a bollire a pezzi in poca acqua, stavolta niente soffritto, non riesco ad abituarmi  e mi dimentico sempre di farlo. Si può usare del brodo o dado. La batata era grande, quindi non ho messo altri addensanti.Quasi a cottura ho passato il tutto con il frullatore a immersione e ho continuato la cottura.A parte ho preparato una crema al formaggio a microonde.Ho fatto sciogliere un cucchiaio di farina in una tazza di acqua, ma con il latte è meglio. Fatto bollire a microonde ed aggiunto del grana a pezzetti e noce moscata.Per servire: versare nei piatti il passato ed aggiungere al centro una cucchiaiata di crema al formaggio. Si può versare così semplicemente oppure decorare il piatto tirando la crema bianca con uno spiedino o una forchetta per formare dei disegni.La quantità era abbondante, pensavo di lasciarne metà per il giorno dopo, ma abbiamo preferito rinunciare al secondo e fare il bis di questo delizioso passato autunnale. Se si desidera un colore meno autunnale si può evitare il pomodoro.

L'altra ricetta è semplicissima. Ho preso una batata, l'ho sbucciata solo nelle parti dove c'erano radici,  lasciando la buccia dove era sottile e liscia. L'ho tagliata a pezzetti, l'ho messa in una ciotola di vetro e l'ho condita con un cucchiaino di olio e un pizzico di sale grosso. Coperta la ciotola l'ho messa a cuocere a microonde per pochi minuti, girando un paio di volte. Stupenda.



Curiosità: Ho letto che dalla buccia della patata dolce è possibile estrarre una sostanza che riduce la glicemia basale, il colesterolo e l'emoglobina glicata, essendo quindi di aiuto nel trattamento del diabete dell'anziano. Le foglie schiacciate sarebbero di sollievo nelle scottature lievi (quando non si forma la vescica, ma solo l'arrossamento).Il loro consumo potrebbe avere effetti antiossidanti e migliorare il sistema immunitario. Non ho trovato controindicazioni verso un consumo di quantità ragionevoli, tranne forse il maggior numero di calorie rispetto alle patate, compensate però da un peso specifico minore. Provate a sollevare un sacco di patate e uno di batate, non è la stessa cosa.

Morale: una patata americana ogni tanto non può che fare bene, se è coltivata da noi meglio ancora.







martedì 1 novembre 2011

Il grano dei morti

IL GRANO DEI MORTI
di Angelo Passalacqua



http://www.manganofoggia.it/ricettagranomorti.htm




http://www.angiecafiero.it/dolci/la-tradizione-gastronomica-della-ricorrenza-dei-defunti/
http://www.angiecafiero.it/cucina-pugliese/grano-dei-morti/

Tra le circa 400 varietà di grano coltivate in Puglia (dato riferito al 1970 figurano alcune varietà antiche, quelle antecedenti al lavoro di Nazareno Strampelli ed altri, come la Bianchetta e la Maiorica, due grani teneri

http://books.google.it/books?id=mTJEAAAAYAAJ&pg=PA227&lpg=PA227&dq=grano+bianchetta&source=bl&ots=n6BLorXD8j&sig=mQ0D_SRH178ZeqdA3qpWjF07I_U&hl=it&ei=xhawToj_BqPa4QTk-K3TAQ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CBwQ6AEwADge#v=onepage&q=grano%20bianchetta&f=false

Nel mio dialetto non esiste il termine "grano tenero" ma si usa "la maiorich" e basta. Ora c'è la riscoperta delle antiche varietà di grano, per tali vengono spacciate varietà che contano al massimo un secolo d'anzianità, tipo il grano duro Senatore Cappelli

http://www.retescat.com/musgra.it/museo/storia/index.html

Non voglio parlarvi di queste varietà, il discorso sarebbe lunghissimo e noioso... Però vorrei sottolineare che è proprio in questo periodo che nasce l'agricoltura industriale delle monocolture, quella dei trattori e dei semi del "miglioramento genetico". Vi capita di leggere che c'è bisogno di un'agricoltura moderna, di nuovi semi dalla produttività miracolosa perché ci sono da sfamare 7 miliardi di persone? Che non abbiamo alternative perchè l'agricoltura biologica ha sempre rese più basse?  Non è vero e vediamo perchè.

Quando l'agricoltura moderna, quella di trattore, concimi e sementi "migliorate", ha sostituito quella dei contadini che aravano col mulo o i buoi, che avevano selezionato le sementi migliori per il loro territorio si è perso anche tutto il "sapere" di millenni. La monocoltura imposta aveva bisogno di nuove varietà di grano che si prestassero meglio, di più resa. Il vecchio contadino seminava un solco di grano ed uno di lenticchia, una consociazione ideale, il nuovo contadino solo grano. Scommettereste che la resa in quintali sia migliore nel secondo caso, vero? Perdete la scommessa!

http://www.cerealiinrete.it/content/files/documents/coltivazione/semina-distanziata.pdf

Non ci sono più i semi dei grani citati da Plinio il Vecchio, quelli egiziani... Chi conosce la tecnica del trapianto a talli, quella che abbisogna della semina di 135 semi contro 4 milioni per un'ettaro di terra? Per quale motivo i contadini facevano pascolare le greggi nei campi di grano?

E' ovvio che l'agricoltura che utilizza le macchine perchè non ci sono più milioni di contadini abbia imboccato un'altra strada, quindi varietà con un solo stelo, seminate molto fitte ed in monocoltura per la raccolta con la mietitrebbiatrice. Ovvio che se l'agricoltura biologica copia i metodi convenzionali commette un'errore e sarà condannata a rappresentare una "desiderabile utopia".

Credo di aver abusato della vostra attenzione, mi fermerei qui.

Ah, la farina di Cappelli è ottima per farci la pasta, non per farci il pane! A meno che non facciate come facevano una volta, 50% farina di Cappelli e 50% farina di Bianchetta o Maiorica!

http://www.scribd.com/doc/44774458/CONTADINO-e-FORNAIO-Jah-Paz